Abbinamento vino e formaggio: tutti i consigli

Vino e formaggio rappresentano una perfetta combinazione delle specialità più tipiche dell’Italia, esportati all’estero come simbolo dell’eccellenza gastronomica del nostro Paese e protagonisti di esperienze di degustazioni. L’abbinamento vino e formaggio deve essere accorto e attento poiché, data la grandissima varietà di entrambi i prodotti, è più facile commettere errori.

Dunque, che vino abbinare a un tagliere di formaggi? Esistono delle regole su come abbinare i formaggi al vino? Più che di regole è opportuno parlare di criteri da seguire per abbinare vino e formaggi:

  • ad esempio, si può scegliere di seguire un abbinamento per territorialità, ossia accompagnando formaggi tipici di una regione con i migliori vini dello stesso territorio;

  • in alternativa si può optare scegliendo l’abbinamento per contrasto, basato sull’equilibrio tra sapidità, grassezze e dolcezza sia del vino che del formaggio;

  • oppure l’abbinamento per armonia, basato sull’accostamento della stagionatura o della durezza del formaggio alla struttura del vino.

Come abbinare i formaggi al vino a partire dal tipo di formaggio

Innanzitutto, è fondamentale saper distinguere le diverse tipologie di formaggi. Non sono solo la provenienza del latte (di mucca, caprino o pecorino) e il metodo di lavorazione a conferire ai formaggi il gusto caratteristico ma anche la consistenza stessa del formaggio, che può quindi essere un fattore da prendere in considerazione per un corretto abbinamento tra vino e formaggio. Ecco, quindi, una catalogazione dei formaggi in base alla loro tipologia.

Formaggi a pasta molle

I formaggi a pasta molle, come lo Squacquerone, la Crescenza, lo Stracchino o il Gorgonzola, in genere molto cremosi, si abbinano molto bene ai vini bianchi di media struttura. Se il sapore del formaggio è più intenso, si può pensare anche all’abbinamento con vini affinati in legno, più strutturati e corposi e dalla forte carica aromatica.

Formaggi a pasta semidura

Anche per i formaggi a pasta semidura, come l’Asiago, l’Emmental o il Pecorino toscano, un vino bianco di media struttura è l’accompagnamento ideale. Se la stagionatura è leggermente più avanzata anche un rosso leggero può risultare un’ottima scelta per esaltare il gusto e la persistenza del formaggio.

Formaggi stagionati

Più lunga è la stagionatura del formaggio e più intenso deve essere il vino in abbinamento. Per formaggi di lunga stagionatura, come il Grana o il Parmigiano, è indicato un vino rosso corposo che sappia armonizzarsi con la persistenza e la sapidità dei formaggi stagionati. 

Formaggi a pasta filata

Nella categoria dei formaggi a pasta filata, tipici soprattutto dell’Italia centromeridionale, rientrano sia Mozzarella e Ricotta che Provoloni, Caciocavalli e Caciotte; di conseguenza è difficile fornire un’indicazione univoca su come abbinare questi formaggi al vino.

Un suggerimento utile è quello di affidarsi al criterio territoriale e scegliere quindi vini bianchi freschi e sapidi campani in accostamento a ricotta e mozzarella di bufala oppure vini bianchi toscani come il Vermentino in accostamento alla Caciotta della Lunigiana. 

Formaggi a crosta fiorita

Per i formaggi a crosta fiorita la scelta del vino è molto ampia: Brie e Camembert si accompagnano a vini bianchi e rossi di media struttura come quelli prodotti con il Sangiovese. I vini rossi da varietà Sangiovese, infatti, contraddistinti da un bouquet prezioso ed elegante, in cui le note fresche di fiori e frutti si fondono con quelle più intense della liquirizia e del tabacco, creano una perfetta armonia di sapori con i formaggi a crosta fiorita dal sapore deciso e variegato. La cremosità di questi formaggi viene esaltata dalla struttura ben bilanciata e persistente di un Brunello di Montalcino o di un Rosso di Montalcino.

Formaggi erborinati

L’abbinamento vino-formaggi erborinati, conosciuti anche come “formaggi blu”, è uno dei più complicati, poiché formaggi come il Gorgonzola o il Roquefort, sono dotati di un carattere deciso e pungente, che può spesso entrare in competizione con quello del vino. Inoltre, nelle degustazioni i formaggi erborinati sono spesso accompagnati da marmellate e confetture. Bisogna quindi tener conto dell’interezza delle portate quando si pensa a come abbinare i formaggi al vino. Si prediligono vini passiti, molto liquorosi, o vini bianchi aromatici affinati in legno, che con il loro bouquet intenso e inebriante accompagnano il gusto persistente dei formaggi blu.

I migliori vini Banfi da abbinare ai formaggi

Gli abbinamenti gastronomici sono il frutto di una scelta oculata e attenta, volta a bilanciare sapori, persistenze e corposità così da stupire il palato con combinazioni che valorizzano sia il vino che il formaggio. Tra i vini Banfi, ecco alcuni di quelli più consigliati per accompagnare i formaggi.

Vini rossi Banfi

Il Chianti Classico DOCG, un rosso d’eccellenza realizzato con le migliori varietà della zona del Chianti, esprime il meglio del suo carattere tipicamente toscano quando accompagna formaggi con cui condivide la territorialità e il carattere, come il pecorino toscano DOP. Il gusto sapido e la consistenza vellutata del Chianti esaltano il profumo intenso di questo formaggio di pecora.

Continuando con le eccellenze, per un abbinamento vino e formaggio perfetto è molto apprezzato quello tra il Rosso di Montalcino e il Parmigiano stagionato oltre 24 mesi. La struttura ampia di questo rosso, allo stesso tempo complessa e ben bilanciata, frutto della grande espressione varietale del Sangiovese, è l’ideale per accompagnare la sapidità del Parmigiano a lunga stagionatura e l’intensità del suo carattere.

Con un Parmigiano ancora più stagionato, oltre i 36 mesi, è invece consigliabile un abbinamento con il Brunello di Montalcino, una tra le eccellenze Banfi più apprezzate nel mondo, nato da varietà Sangiovese di pregiata qualità e frutto di studi decennali e innovazioni tecnologiche. La struttura ricca del Brunello e il suo grande potenziale olfattivo creano con il gusto sapido di questo formaggio un abbinamento ricco e deciso, altamente di classe, ideale per aperitivi sofisticati.

Vini bianchi Banfi

Il Fontanelle accompagna formaggi a pasta filata come la Burrata accarezzando il palato con una morbida armonia. Gli aromi fruttati tipici dello Chardonnay esaltano il gusto dolce della Burrata, mentre il finale persistente con note di vaniglia si sposa alla perfezione con il cuore tenero di questo formaggio.

Il San Angelo Pinot Grigio, ricco di profumi, è un vino da abbinare a formaggi dai profumi altrettanto ricchi, come quelli caprini. Inoltre, la buona acidità e sapidità di questo vino bilancia egregiamente la cremosità della Robiola o dello Stracchino di capra.

Vini passiti e spumanti

Come detto in precedenza, i formaggi erborinati, con il loro caleidoscopio di profumi e sapori necessitano di un vino che sappia tener testa all’esplosione di sensazioni olfattive e di gusto. In questi casi non c’è niente di meglio del Florus, 100% Moscadello di Montalcino che si contraddistingue per l’estrema varietà di profumi e aromi.

Infine, gli spumanti come il Tener Extra Dry si accompagnano ai formaggi di media e lunga stagionatura, sia come antipasto che come portata finale di un ricco pasto. Le bollicine creano un contrasto intrigante con la sapidità di formaggi come il Grana o il Parmigiano, contribuendo anche a sgrassare il palato, mentre la freschezza si bilancia con la sapidità.

Enoteca: significato e storia

Un’enoteca non è un semplice negozio di vini: scopri su banfi.it come si definisce e come riconoscerne una.

Enoteca: significato, storia e curiosità

Il mondo del vino è articolato e complesso: le figure professionali che ruotano intorno alla sua produzione e distribuzione sono molteplici così come sono diversi i luoghi legati a questo prodotto. A questo proposito, uno dei più interessanti, oltre a quello della cantina, è sicuramente l’enoteca, ovvero il luogo dove vengono conservate ed esposte le bottiglie di vino e spumanti destinate alla vendita o alla consumazione in loco durante possibili eventi di degustazione.
In questo approfondimento prenderemo in esame alcune curiosità legate alle enoteche, ad esempio perché si chiama così, cosa si vende in enoteca o come si chiama chi lavora in un’enoteca.

Etimologia di enoteca

Per rispondere alla prima domanda, ossia cosa significa enoteca e perché si chiama enoteca, è necessario partire dall’origine della parola. L’etimologia di “enoteca” deriva dall’unione di due parole di origine greca: “eno” – dal greco oinos (“vino”) – e “teca” – dal greco theke (“ripostiglio” o “deposito”). La parola “enoteca” significa quindi “ripostiglio o deposito del vino”.
Tuttavia, nonostante l’etimologia di “enoteca” faccia riferimento alla sola conservazione, nella lingua italiana indica anche il luogo dove le bottiglie vengono esposte per la vendita e per la degustazione.

Cosa si vende in enoteca?

Come anticipato, spesso in enoteca si organizzano degustazioni dei vini venduti accompagnati da prodotti tipici del territorio, contribuendo così al cosiddetto turismo enogastronomico. Presso le enoteche gli intenditori di vino hanno la possibilità di:

  • scoprire curiosità sui metodi di produzione;
  • ricevere informazioni su vitigni e uve selezionate;
  • degustare diverse tipologie di vino, spesso con l’accompagnamento di prodotti tipici;
  • acquistare i prodotti.

Le enoteche più rinomate sono inoltre spesso gestite da o in collaborazione con cantine e aziende vinicole. È ad esempio il caso dell’Enoteca Banfi a Montalcino dove vengono conservati, esposti e venduti i vini prodotti presso le nostre cantine. Non solo vini e spumanti, ma anche condimenti, olio e prodotti di gastronomia e artigianato locale, tra cui il pecorino locale e il prosciutto crudo toscano, da poter degustare anche presso il wine bar.

Oltre alle degustazioni, visitare l’Enoteca Banfi è una vera e propria immersione nel mondo del vino e delle tradizioni vinicole del passato. L’ambiente rustico ed elegante, con mobili in legno pregiato e botti originali, ricorda le botteghe toscane di una volta. La stessa enoteca si trova a ridosso delle volte del suggestivo Castello Banfi di Poggio alle Mura, una fortezza medievale splendidamente conservata e incastonata come un gioiello nel piccolo borgo di Poggio alle Mura.

A quando risalgono le prime enoteche?

Le enoteche più antiche risalgono al ‘400 e alcune vengono addirittura citate nelle opere di Torquato Tasso e Ludovico Ariosto. Già allora erano luoghi di accoglienza e di ospitalità, dove il piacere del buon vino si mescolava a quello del cibo.

Come si chiama chi lavora in un’enoteca?

Tra le diverse figure professionali che operano a livello professionale nel settore del vino non è facile individuare nello specifico chi sia o come si chiami chi lavora in un’enoteca. Questo accade perché l’enoteca è un sistema complesso, che abbraccia l’esperienza di conservazione, vendita e degustazione del vino.

Nella maggior parte dei casi, è presente presso l’enoteca un sommelier che si occupa di selezionare i vini più adatti alla degustazione per qualità e caratteristiche e fornisce consigli e suggerimenti ai consumatori.

Certificazione Equalitas: cos’è e i traguardi Banfi

Banfi, da sempre pioniere della sostenibilità e promotore di iniziative concrete per la valorizzazione del territorio, vanta tra le sue certificazioni anche la prestigiosa Certificazione Equalitas, il prestigioso riconoscimento internazionale per le aziende che hanno fatto della responsabilità sociale e ambientale, della trasparenza e dell’eticità i punti cardine della loro strategia.

Che cos’è la Certificazione Equalitas?

La Certificazione Equalitas, rilasciata da CSQA, nasce nel 2015 per iniziativa di Federdoc e Unione Italiana Vini e rappresenta un autentico simbolo di eccellenza aziendale nel settore vinicolo e la ferma volontà di tutti gli appartenenti al settore di definire un alto standard di sostenibilità che interessi ogni aspetto della filiera produttiva, dalla tracciabilità delle materie prime fino all’imbottigliamento.

Tali standard sono applicabili sia alle aziende, che possono ricevere la Certificazione Equalitas Organizzazione Sostenibile, sia ai singoli prodotti, che possono fregiarsi della Certificazione Equalitas Prodotto Sostenibile.

Nel corso del tempo, Banfi ha raggiunto entrambi questi traguardi, aggiungendo alla sua rosa di certificazioni quella di organizzazione sostenibile nel 2021 e quella relativa ai prodotti della famiglia del Brunello nel 2022.

I tre pilastri della certificazione Equalitas

Il raggiungimento degli standard di sostenibilità Equalitas per le aziende certificate nel settore vinicolo si basa su tre pilastri fondamentali (sostenibilità economica, sociale e ambientale), oltre che su una serie di indicazioni e buone pratiche che riguardano l’intera filiera produttiva, dalla gestione del suolo e del vigneto (buone pratiche agricole), a quella dell’imbottigliamento e della sanificazione delle attrezzature (buone pratiche di cantina), alla comunicazione continua e documentata dei piani strategici aziendali e dai Bilanci di Sostenibilità (buone pratiche di comunicazione).

Banfi per la formazione e la sostenibilità economica

Uno dei pilastri fondamentali su cui si basa la Certificazione Equalitas è quello della gestione socioeconomica dell’azienda, che si riferisce, oltre alle buone pratiche economiche, anche alla formazione costante dei lavoratori, all’integrazione con il territorio e la comunità locale.

È proprio in quest’ottica che Banfi ha creato anche la Sanguis Jovis – Alta Scuola del Sangiovese. L’istituzione rappresenta uno dei percorsi più originali e innovativi del settore, con lo scopo di innovare la cultura dei professionisti del vino e di proiettarla verso un futuro globalizzato, sempre nel rispetto e nella valorizzazione di un territorio, quello del Sangiovese, che vanta una tradizione antica.

Banfi per la sostenibilità ambientale

Da sempre Banfi abbraccia una gestione aziendale di profonda comprensione, convivenza e armonia con il territorio che la circonda, attraverso l’uso razionale delle risorse e la cura dell’ambiente in ogni fase della filiera produttiva, dalla raccolta dell’uva fino alla creazione di nuove bottiglie leggere che consentono di risparmiare sulle materie prime.

Per quanto concerne la Certificazione Equalitas, il pilastro della sostenibilità ambientale prende in considerazione tre diversi fattori: la carbon footprint, la water footprint e la biodiversità.

Carbon footprint

La carbon footprint, ossia l’impatto ambientale in termini di emissioni di gas serra provocate da un’azienda e dalla produzione di un prodotto, rappresenta per Banfi il fiore all’occhiello della sua strategia di sostenibilità.

Fin dagli anni Novanta, infatti, l’azienda ha promosso programmi di coltivazione a basso impatto ambientale, riducendo al minimo l’utilizzo di agenti chimici e di prodotti aggressivi per l’ambiente. In parallelo, abbiamo portato avanti un progetto di rivivificazione delle foreste che circondano la tenuta, piantando varietà locali, tra cui i cipressi, particolarmente adatti per aumentare la produzione di ossigeno e l’assorbimento di anidride carbonica.

Water footprint

Nel corso degli anni, grazie alla profonda conoscenza di un territorio così ricco e variegato come quello delle colline che circondano Poggio alle Mura, i nostri esperti hanno elaborato un sistema di irrigazione che ha portato a un risparmio d’acqua pari a circa l’80%. Attraverso un sistema di irrigazione localizzata a rateo variabile e tenendo conto della variabilità geologica, climatica e pedologica dei suoli coltivati, abbiamo ridotto al minimo il prelievo delle acque dai fiumi Orcia e Ombrone, naturali fonti di approvvigionamento della tenuta.

Biodiversità

L’impegno per la sostenibilità ambientale promosso da Banfi e attestato dalla Certificazione Equalitas riguarda anche la biodiversità. La ricca e variegata fauna naturale, in particolar modo quella di cinghiali, fagiani e cervi, vive in armonia nei campi, naturali e seminati, presenti nelle vicinanze della nostra azienda vinicola. Curiamo inoltre anche l’allevamento di un piccolo gruppo di asinelli dell’Amiata, una razza locale a rischio estinzione.

Certificazione Equalitas di prodotto sostenibile: i nostri vini

I traguardi ottenuti da Banfi nella sfera della sostenibilità non riguardano solo gli standard aziendali ma abbracciano anche un’ampia rosa di prodotti, diventati fiore all’occhiello della nostra produzione vinicola di altissima qualità e sostenibile. Uno dei nostri vini più pregiati e storici, il Poggio all’oro 2016 è stato il primo Brunello di Montalcino a ottenere la Certificazione Equalitas Prodotto Sostenibile nell’ottobre 2022, seguito poi dal Poggio alle Mura 2018, dal Vigna Marrucheto del 2018 e dal Poggio alle Mura Riserva 2017, che possono vantare la prestigiosa Certificazione Equalitas – Prodotti Sostenibili.

Poggio all’Oro 2016 ottiene la certificazione Equalitas

A poco più di un anno di distanza dall’ottenimento della certificazione Equalitas da parte di Banfi Società Agricola srl, uno dei vini più pregiati e storici dell’azienda, il Brunello di Montalcino Riserva Poggio all’Oro Banfi 2016, è il primo Brunello a raggiungere il traguardo della Certificazione Equalitas di Prodotto Sostenibile.

Ecco come funziona la Certificazione Equalitas e quali sono le caratteristiche del Brunello di Montalcino Poggio all’Oro Riserva.

Certificazione Equalitas di Prodotto Sostenibile: di cosa si tratta?

La certificazione, rilasciata da CSQA, assicura la conformità dei vini ai requisiti previsti dallo standard Equalitas, garantendone la tracciabilità, dalla materia prima fino all’imbottigliamento.

La gestione e il controllo sull’intero processo produttivo avvengono mediante l’individuazione e la verifica delle buone pratiche agricole dei vigneti da cui proviene l’uva, al controllo delle buone pratiche in cantina e in fase di imbottigliamento.

Poggio all’Oro Banfi e Certificazione Equitas

Quello conseguito a ottobre 2022 rappresenta un traguardo importantissimo e di immenso valore per Banfi. Pioniera della Sostenibilità, uno dei suoi valori fondanti ed elemento autentico ed emblematico della propria storia, Banfi ha un percorso che nasce da molto lontano ed il cui presupposto si trova nell’armonia tra il territorio, le persone, l’ambiente e la qualità delle proprie produzioni. Il cammino intrapreso fin dalla propria fondazione si è evoluto negli anni, seguendo la crescente richiesta di qualità e sicurezza del mondo enologico.

Un obiettivo conquistato, quest’anno, con la Certificazione Equalitas di Prodotto Sostenibile che si inserisce, però, nel più ampio programma di azioni e obiettivi del Piano Strategico di Sostenibilità, che indirizza le scelte aziendali e che trova rappresentazione nel Bilancio di Sostenibilità.

Così come per lo standard Equalitas – Organizzazioni Sostenibili, anche lo standard Equalitas – Prodotti Sostenibili analizza aree diverse, in tutte le fasi di produzione, a partire dal sistema di gestione aziendale integrato con la sostenibilità, al fine di assicurare la qualità dei prodotti.

Tre sono, poi, gli indicatori di sostenibilità ambientale che vengono presi in osservazione:

  • il carbon footprint, vale a dire le emissioni di gas ad effetto serra;
  • la water footprint, ossia la mappatura della gestione dell’acqua;
  • per finire con la biodiversità, misurata nell’acqua, nell’aria e nel suolo con il metodo Biodiversity Friend. 

Altra area presa in esame è quella delle buone pratiche socioeconomiche che si riferisce ai lavoratori, alla formazione, alle relazioni con il territorio e la comunità locale, oltre che alle buone pratiche economiche.

Anche le buone pratiche di comunicazione, con una politica di comunicazione veritiera e documentata, ed il Bilancio di Sostenibilità, rientrano tra quegli aspetti analizzati.

La gestione del suolo, della fertilità e dell’irrigazione, oltre che quella della pianta, della difesa e della vendemmia sono i parametri esaminati nella gestione del vigneto, per le buone pratiche agricole.

Per le buone pratiche di cantina, imbottigliamento e condizionamento ci si riferisce agli aspetti della raccolta, vinificazione e imbottigliamento, detersione e sanitizzazione di locali e attrezzature, al packaging e ai rifiuti e acque reflue.

La rosa delle Certificazioni Equalitas di Prodotto Sostenibile conseguito dai vini prodotti da Banfi è, però, più ampia ed abbraccia la famiglia dei Brunello quasi al completo. Infatti, sia il Poggio alle Mura che il Vigna Marrucheto, entrambi annata 2018, ed il Poggio alle Mura Riserva 2017 hanno ottenuto la medesima certificazione.

Bicchieri da degustazione vino: le tipologie

Come dovrebbero essere i bicchieri da degustazione? Ecco come trovare il bicchiere giusto per ogni tipo di degustazione vinicola.

Bicchieri da degustazione vino: tipologie e come sceglierli

La degustazione del vino è un’esperienza multisensoriale che coinvolge vista, olfatto e gusto e li guida alla scoperta delle numerose sfaccettature dei vini. Si tratta di un’esperienza che, per essere eseguita al meglio, è scandita da alcune regole. Una delle più importanti riguarda i bicchieri da degustazione per il vino.
Così come i maestri delle cantine si servono di appositi strumenti e macchinari per esaltare le qualità delle uve e trasformarle in vini pregiati, così chi si appresta a degustare tali vini deve farlo con gli strumenti giusti. Ma quali sono i bicchieri per il vino più adatti da utilizzare per una degustazione?

Bicchieri da degustazione vino: i materiali

I bicchieri da degustazione vino, chiamati anche “calici da degustazione”, possono essere diversi sia per forma che per capienza ma sono accomunati dal materiale con cui vengono realizzati: un vetro di ottima trasparenza. Questo materiale consente di apprezzare il colore, la limpidezza e la corposità del vino a un esame visivo, il primo passo della degustazione.

Il vetro è uno dei materiali più antichi lavorati dall’uomo: i reperti esposti al Museo della Bottiglia e del Vetro di Poggio alle Mura mostrano l’evoluzione delle tecniche di produzione di questo materiale e la progressiva specializzazione dell’uomo nella sua lavorazione.
Nel caso della produzione dei bicchieri da degustazione per il vino, si utilizza molto spesso il cristallo, un particolare tipo di vetro che si caratterizza per la sua trasparenza, ideale per poter eseguire l’esame visivo del vino.
Le forme possono essere molteplici e variare a seconda della tipologia di vino scelto per la degustazione.

Bicchieri da degustazione per il vino rosso

I bicchieri da degustazione per il vino rosso vanno scelti a seconda della corposità, complessità e degli aromi del vino. Le tipologie che meglio valorizzano i vini rossi classici di media struttura sono il bicchiere ballon mentre per i vini rossi invecchiati si prediligono i borgogna o i barbareschi.

Ballon

Il ballon è caratterizzato da una forma rotondeggiante e panciuta, adatta a sprigionare l’intensità del bouquet di profumi che contraddistingue i vini rossi giovani e aromatici. Inoltre, l’ampiezza della superficie e la sua conseguente luminosità permettono di apprezzarne la consistenza e la colorazione.

Borgogna

Il borgogna, invece, il cui nome fa riferimento all’omonima regione francese patria del Pinot nero, ha una forma più allungata ed è usato come bicchiere da degustazione per vini rossi più strutturati e invecchiati diversi anni.
La forma allungata e panciuta aumenta la superficie del vino, facendolo respirare e favorendone l’ossigenazione. Bicchieri da degustazione ampi come il borgogna consentono un esame visivo attento e accurato: l’ampiezza della pancia permette una corretta rotazione del vino per apprezzare la formazione degli archetti o lacrime ed esaminare al meglio la limpidezza mentre l’apertura leggermente più stretta esalta maggiormente i profumi complessi, portandoli subito al naso per il primo esame olfattivo.

Barbaresco

Tra i bicchieri da degustazione per vino rosso strutturato va menzionato anche il calice dal corpo panciuto con il bordo svasato conosciuto anche come “barbaresco”, dal comune di Barbaresco in Piemonte dove si produce il famoso vino omonimo. Il bordo svasato che ricorda la particolare forma a tulipano permette al bouquet di profumi di espandersi ed evolvere mano a mano che si procede all’esame olfattivo.

Bicchieri da degustazione per il vino bianco

I bicchieri da degustazione per il vino bianco più utilizzati sono invece il tulipano e il renano. Vediamo di seguito quali sono le caratteristiche di entrambe le tipologie di bicchiere.

Tulipano

Il tulipano o “bicchiere Sauvignon” è il più classico tra i bicchieri da degustazione per vino bianco e uno dei più diffusi in commercio. La sua forma ricorda quella del fiore da cui prende il nome, con una pancia leggermente bombata e allungata e un’apertura svasata che si allarga di poco rispetto al corpo centrale.
Questa forma agevola la salita degli aromi al naso e per questo è indicato soprattutto nella degustazione di vini fruttati e delicati, leggeri e mediamente strutturati.

Renano

Per i vini bianchi più complessi invece si predilige il renano, un calice leggermente chiuso nella parte superiore così da convogliare al naso i profumi intensi dei bianchi strutturati e permettendo di apprezzare già a un primo esame la complessità degli aromi.

Che cos’è il bicchiere ISO?

“ISO” è l’acronimo di “International Standards Organization”, ovvero l’Organizzazione internazionale per la normazione che si occupa a livello mondiale della definizione di diverse norme tecniche.

Nel 1970 gli esperti dell’ISO hanno codificato anche le misure del bicchiere da degustazione per vino da utilizzare durante gli eventi ufficiali. Esso si caratterizza per una forma diversa da quelle indicate finora e si adatta a tutti i tipo di vino.

Il bicchiere ISO ha una pancia di dimensioni medie con un’apertura leggermente più stretta per favorire la concentrazione dei profumi e il loro rilascio graduale durante l’esame olfattivo. Viene riempito per 50-100 ml, a seconda della tipologia di vino.

Dove dormire in castello medioevale

Hai sempre sognato di dormire in un castello medioevale? Scopri quali sono le dieci migliori location in Italia per vivere una notte da favola.

Dormire in castello medievale: le 10 migliori location

L’Italia, con i suoi paesaggi mozzafiato, i suoi borghi incastonati tra le dolci colline e la sua storia millenaria, offre ai turisti un ampio ventaglio di esperienze culturali, enogastronomiche, artistiche, nonché la possibilità di dormire in un castello medievale.
Sono numerosi, infatti, i borghi e i piccoli paesi che conservano ancora le vestigia di un antico passato sotto forma di fortilizi, castelli e torri che dominano il paesaggio circostante e che sono state ristrutturate e trasformate in tempi recenti in alberghi o resort di lusso. Da Nord a Sud, ecco alcune delle migliori location per dormire in un castello in Italia.

Dormire in un castello medievale in Nord Italia

Uno dei castelli più belli del Nord Italia è il Castello Bevilacqua a Montagnana, un piccolo borgo veneto posto al crocevia delle più importanti città della regione. Oltre a provare l’emozione di dormire in un castello medievale di epoca trecentesca, un soggiorno in questo borgo vi darà l’occasione di visitare facilmente i luoghi più famosi del Veneto.

Suggestivo e romantico, nonché ricco di storia e opere d’arte è anche il Castello Visconteo di Cassano d’Adda, un’imponente fortezza che si specchia sul fiume, ristrutturata con un gusto moderno ed elegante e che si sposa perfettamente con le architetture antiche.

Il Castello di Sinio in Piemonte sorge invece sulla cima della collina che domina il borgo sottostante e rappresenta una location ideale per chi vuole provare l’esperienza di dormire in un castello medievale e vivere in una fiaba, cenando nella raffinata sala d’armi a lume di candela o riposando in un confortevole letto a baldacchino.

A Capriva del Friuli sorge il Castello di Spessa, un luogo dove natura e storia si fondono in una perfetta armonia. Qui l’eleganza e il lusso regalano agli ospiti romantiche emozioni.

Il Castello Rubein è immerso nell’incantevole bosco che circonda la città di Merano in Trentino: un’oasi di pace e tranquillità e il punto perfetto da cui partire per visitare ad esempio il Sud Tirolo e le sue bellezze naturalistiche. Rappresenta la location perfetta per soggiornare in un castello del XII secolo.

Alloggiare in un castello del Sud Italia

Passando dalle fredde montagne del Trentino alla soleggiata Sicilia, per alloggiare in un castello la scelta migliore è il Castello di Falconara a Butera, una dimora storica risalente al XIV secolo dotata di un esclusivo accesso al mare e di un ampio parco avvolto nei profumi e nei colori del Mediterraneo.

Romantico e fiabesco in ogni momento dell’anno, ma soprattutto nel periodo natalizio, è poi il Castello di Limatola in Campania. Si tratta di una fortezza abbarbicata sulla collina che domina il borgo, con incantevoli spazi esterni tra scale di pietra, alberi secolari e accoglienti e romantici spazi interni arredati in stile rinascimentale.

Dove soggiornare in un castello del Centro Italia

Alloggiare in un castello medievale e tuffarsi in un’atmosfera d’altri tempi è un’esperienza ricercata soprattutto dalle giovani coppie, che possono trovare nel Castello Orsini di Nerola (Lazio) un luogo incantato ricco di storia e fascino. Il castello, circondato da un fossato e da un possente muraglione di pietra, conserva tutta la nobiltà e la ricercatezza della famiglia da cui prende il nome, anche nell’arredamento e nei servizi di lusso.

In Abruzzo invece si trova il Castello Chiola, una casa padronale di epoca medievale con suites arredate in stile moderno e raffinato.

Castello Banfi in Toscana

La Toscana, costellata da incantevoli borghi arroccati sulle colline, è la regione italiana che più di tutte offre la possibilità di dormire in un castello medievale. Ogni borgo ha infatti la sua rocca, la sua torre di guardia o il suo castello che vengono restaurati e rifunzionalizzati per accogliere tra le mura di pietra i visitatori che cercano una vacanza da favola.

A Montalcino, tra le colline e i vigneti della Val d’Orcia sorge Castello Banfi, una fortezza storica costruita tra il X e il XIII secolo che domina l’intero paesaggio e offre a chi ha la fortuna di affacciarsi della sue merlature una vista mozzafiato sull’intera tenuta Banfi.

Castello Banfi è un complesso dedicato al benessere e al relax, nato per valorizzare un territorio ricco di storia e tradizioni enogastronomiche e per offrire ai turisti la possibilità di soggiornare in un castello potendo godere di tutti i comfort di una struttura di lusso.

Le camere e le suites sono ampie e spaziose, con una vista incantevole sui vigneti e sulla campagna toscana circostante, e sfoggiano arredi firmati dal rinomato architetto d’interni Federico Forquet che ha saputo ridare vita agli antichi ambienti del castello e alle abitazioni del borgo con un design innovativo e originale. Una perfetta armonia tra lusso e tradizione, tra accessori esclusivi realizzati a mano e il tipico stile toscano.

Soggiornare in un castello come Castello Banfi vi permetterà di respirare un’atmosfera incantata d’altri tempi, passeggiando all’ombra del romantico Pergolato, dove il profumo dei roseti rende più dolce l’aria della sera, o rilassandovi nella Sala Lettura, dove raffinatezza e comfort vi regaleranno piacevoli momenti di relax.

Quando travasare il vino?

Le operazioni di travaso del vino servono a non alterarne gusto e peculiarità: ecco come e quando farle correttamente.

Quando travasare il vino?

Alcuni processi, infatti, come quello di travasare il vino, necessitano di una profonda conoscenza delle uve locali e delle loro caratteristiche, al fine di preservarne i profumi e gli aromi fino all’imbottigliamento e alla degustazione del prodotto finale. Proprio l’operazione di travaso del vino è quella che consente di mantenerne intatto il gusto e il profumo. Ma quando si travasa il vino e perché?

Perché si travasa il vino

Prima di illustrare quando si travasa il vino e in che fase del processo produttivo si colloca questa delicata operazione, è fondamentale sapere perché si travasa il vino.

Il suo scopo è, come anticipato, quello di mantenere intatte le caratteristiche chimiche, biologiche e organolettiche del vino al fine di garantirne la qualità ed eliminare i residui della fermentazione.

La fermentazione alcolica del mosto, infatti, produce necessariamente sostanze di scarto come lieviti esausti, bucce, vinaccioli e altri sedimenti che si depositano sul fondo della botte e che, se non vengono separati al momento opportuno, rischiano di intaccare la qualità del vino. L’operazione di travasare il vino si effettua proprio dopo la fermentazione, con una particolare attenzione alle tempistiche da seguire, che variano da vino a vino.

Quando travasare il vino: una questione di equilibrio e tempistiche

Intervenire troppo presto con il travaso del vino non darebbe al mosto il tempo necessario per entrare in contatto con i lieviti e sviluppare quindi la fermentazione alcolica.

Intervenire troppo tardi, lasciando quindi il vino a contatto con i lieviti esausti per molto tempo, produrrebbe invece odori e sapori sgradevoli all’interno della botte che altererebbero irrimediabilmente le caratteristiche vino. Questi odori sono conosciuti anche con l’espressione “odori di feccia”. È compito proprio del team enologico capire quando travasare il vino.

Nel processo di travaso del vino, un’attenzione particolare va posta al fenomeno di ossigenazione, ossia all’esposizione all’aria del prodotto: da un lato, è necessario ossigenare il vino per eliminare eventuali “odori di feccia”;
dall’altro non deve ossigenarsi troppo per non perdere le sue caratteristiche olfattive peculiari.
Ogni vino ha i suoi tempi e gli esperti hanno imparato a conoscerli: un vino delicato e con pochi tannini, ad esempio, deve essere tutelato dal contatto con l’ossigeno mentre un rosso più corposo può beneficiare di una breve esposizione all’aria.

Travaso all’aria e travaso al chiuso

Al fine di preservare le peculiarità di ogni vino, è possibile adoperare due metodi diversi per travasare il vino:
il travaso all’aria e il travaso al chiuso.

Il travaso all’aria consiste nel travasare il vino dal recipiente in cui è fermentato in uno più piccolo e aperto, per favorire l’ossigenazione e l’eliminazione degli odori sgradevoli che possono crearsi durante la fermentazione stessa.

Il travaso chiuso, invece, viene generalmente adoperato per i vini più delicati e riduce al minimo il contatto con l’aria sfruttando l’azione di una pompa (chiamata “pompa enologica”) che trasferisce il vino da un contenitore all’altro.

Primo, secondo e terzo travaso: quando si fanno?

Rispondere alla domanda “quando si travasa il vino?” non è semplice poiché i vini subiscono almeno tre operazioni di travaso, se non di più nel caso dei rossi invecchiati diversi anni:

  • il primo travaso avviene subito dopo la fermentazione, con tempistiche diverse in base alla tipologia del vino;
  • il secondo travaso si effettua invece a inizio inverno, quando le basse temperature rendono più facile il distacco dei sedimenti e della feccia che precipita sul fondo della botte;
  • il terzo travaso, infine, si fa generalmente a primavera, tra marzo e aprile.

Dopo il terzo travaso, i vini bianchi sono pronti per essere imbottigliati mentre per i vini rossi comincia il processo di invecchiamento in cantina.

Dunque, quando si travasa il vino rosso da far invecchiare? I rossi che riposano in cantina per diversi anni in genere vanno travasati due volte all’anno (in primavera e in inverno) e, se necessario, viene aggiunta una piccola quantità di anidride solforosa, una sostanza indispensabile per evitare la proliferazione di batteri all’interno delle botti, al fine di reintegrare quella persa e volatilizzata durante il travaso.

Filtrare il vino: come e quando

Filtrare il vino serve a eliminare residui e parti solide: ecco come e quando farlo correttamente.

La guida completa per filtrare il vino correttamente

Nel valutare la qualità di un vino, la limpidezza gioca un ruolo fondamentale: l’assenza di torbidità permette di riconoscere infatti un vino pregiato anche senza stappare la bottiglia. Essa rappresenta il frutto di un’attenta opera di filtrazione del vino e di chiarificazione, portata avanti dai maestri vinaioli attraverso un processo meticoloso e graduale che prevede diverse fasi.
Capire come filtrare il vino, quali sono le tecniche più utilizzate nelle cantine più rinomate o assistere di persona ai processi di produzione del vino grazie a una visita guidata presso una cantina storica come quella di Banfi, siamo certi rappresentino una fonte di arricchimento della conoscenze sul mondo del vino per i nostri visitatori.

Come filtrare il vino e perché

Filtrare il vino, rosso o bianco, ha lo scopo di accrescere la limpidezza del prodotto, eliminando gli elementi in sospensione che possono intorbidirne l’aspetto o, in alcuni casi, comprometterne la qualità e il bouquet di profumi.
Nella pratica, la filtrazione del vino consiste nel separare il liquido dai residui solidi (fecce, lieviti o altre particelle granulose) che possono rimanere sul fondo dopo la pigiatura o la fermentazione. Tale procedimento viene effettuato con l’uso di appositi strumenti filtranti, realizzati in diverso materiale e spesso arricchiti con sostanze che ne aumentano la capacità filtrante.

Le tecniche di filtrazione del vino

Le diverse tecniche di filtrazione, a seconda della grana delle particelle da eliminare, si dividono in:

  • sgrossanti: servono a eliminare le particelle più voluminose presenti in sospensione nel vino;
  • brillantanti: intervengono sulle particelle più piccole, quelle visibili soprattutto nei vini bianchi o nelle produzioni pregiate in cui anche il più piccolo segno di torbidità può compromettere la qualità del prodotto;
  • sterilizzanti: eliminano del tutto i microorganismi presenti nel vino, compresi i lieviti potenzialmente dannosi, arrestando quindi il processo di fermentazione al suo punto ideale.

I metodi utilizzati quando si filtra il vino

A proposito di come si filtra il vino, è interessante sapere che nelle grandi aziende vinicole si possono distinguere due principali metodologie di intervento:

  • la prima è chiamata setacciamento o filtrazione di superficie: consiste nel filtrare il vino attraverso una serie di superfici porose che trattengono le impurità in superficie, poiché di dimensioni più grandi rispetto ai fori di filtraggio;
  • la seconda prende il nome di assorbimento o filtrazione di profondità: prevede l’utilizzo di fibre assorbenti che trattengono sedimenti e particelle al loro interno, lasciando quindi filtrare solo il vino ormai illimpidito.

Esistono dunque diverse tecniche di filtrazione del vino che si differenziano tra loro anche per la tipologia dei materiali impiegati durante il processo. La scelta dei filtri dipende principalmente dalle caratteristiche del vino e dal grado di limpidità che si vuole raggiungere. Inoltre, le tecniche per la filtrazione del vino possono essere eseguite in successione al fine di ottenere una limpidezza soddisfacente a seconda del vino trattato.

Con deposito

La filtrazione per deposito è la prima a essere eseguita e ha un effetto sgrossante. Il suo scopo è infatti quello di eliminare le particelle più grossolane attraverso l’utilizzo di una tela. È uno dei metodi più utilizzati per filtrare il vino in casa.

Per alluvionaggio

La filtrazione per alluvionaggio continuo pulisce il vino dai sedimenti della fermentazione (fecce, bucce e lieviti). Viene utilizzato un pannello forato a pori discretamente ampi; questi vengono riempiti con cellulosa e silicati, materiali che attivano e intensificano il processo di filtrazione.
Il vantaggio di questo metodo è quello di poter lavorare su grandi quantità e di sfruttare appieno l’efficacia dei coadiuvanti di filtrazione.

Su cartoni

La filtrazione sui cartoni avviene mediante pannelli di cellulosa biodegradabile e compostabile, arricchiti con fibre di cotone, farina fossile e resine cationiche. I pannelli vengono inseriti tra due piastre a lamiera forata e viene sfruttato il metodo della filtrazione di profondità: i cartoni assorbono e trattengono così le impurità principali.

Su membrana

La filtrazione su membrana (o “microfiltrazione”) è invece destinata ai vini che devono rispettare un elevato grado di limpidità. Vengono utilizzate membrane molto sottili in grado di trattenere particelle microscopiche, realizzate sia in materiali organici (membrane polimeriche) che inorganici (membrane in materiale ceramico).
Infine, quando il flusso del liquido è parallelo a quello della membrana e riduce al minimo i depositi sulla membrana si parla di filtrazione tangenziale.

Come si fa la vendemmia?

Tutto quello che c’è da sapere su come si fa la vendemmia tradizionale e moderna. Scopri quali sono le fasi della vendemmia a Castello Banfi.

Vendemmia: tutto quello che c’è da sapere

Nell’elaborato processo che trasforma i grappoli aulenti in vini pregiati, la vendemmia rappresenta il momento più affascinante e suggestivo: per secoli la raccolta delle uve da vino è stata uno degli eventi che hanno scandito il trascorrere dell’anno e delle stagioni e ancora oggi rappresenta un’esperienza unica da vivere in prima persona.

La parola “vendemmia” si applica in modo specifico alla raccolta delle uve destinate alla produzione di vino e, attraverso la sapiente commistione di tradizioni antiche e tecnologie moderne, è il primo passo che porta alla produzione di vini pregiati come quelli Banfi.

Sapere come si fa la vendemmia, come si chiama chi fa la vendemmia e quali sono i segreti per riconoscere i grappoli migliori permette di apprezzare il valore e il prestigio delle etichette d’eccellenza.

Quando si vendemmia?

I tempi della vendemmia sono legati alle caratteristiche del vitigno e all’andamento climatico. Il grado di maturazione delle uve, infatti, è fortemente condizionato dalle proprietà del suolo, dall’esposizione al sole e alle condizioni climatiche.

I tempi della vendemmia variano quindi di anno in anno: in Italia, e in Toscana particolare, tradizionalmente si vendemmia tra settembre e ottobre, anche se negli ultimi anni sempre più spesso le vendemmie sono precoci, iniziando quindi già alla fine di agosto.

I momenti migliori per raccogliere l’uva alla giusta maturazione destinata alla produzione di vino sono quelli più freschi della giornata, preferibilmente al mattino presto. ll caldo eccessivo, infatti, può portare alla fermentazione delle uve nelle ceste, rovinando così il frutto.

Come si fa la vendemmia: raccolta manuale e raccolta meccanica

La raccolta dei grappoli d’uva può avvenire secondo due diverse modalità:

  • la raccolta manuale,
  • la raccolta meccanica.

La prima modalità vede impegnati decine di operatori esperti (viticoltori) che selezionano uno ad uno i grappoli da utilizzare per la produzione del vino; la seconda, invece, prevede l’utilizzo di macchine vendemmiatrici che scuotono con delicatezza le viti facendo cadere gli acini in appositi contenitori.

Appare evidente che questo secondo metodo di raccolta è sì più rapido ed economico, ma non garantisce una perfetta qualità delle uve. Solo con un’attenta selezione è possibile infatti scegliere le uve migliori, da cui ricavare un vino d’eccellenza.

Come si fa la vendemmia manuale? Utilizzando apposite forbici, si asportano i grappoli maturi dalla pianta, che poi vengono privati delle foglie e adagiati in specifici contenitori, facendo molta attenzione a non pressare o danneggiare gli acini.

Quali sono le fasi della vendemmia

Nelle tenute Banfi, dove sorge il Castello Banfi, le fasi della vendemmia sono scandite con la cura e con l’attenzione ai dettagli che da sempre contraddistinguono la nostra azienda.

Raccolta

Tutto ha inizio nei vigneti, tra i filari ordinati e rigogliosi. La prima fase della vendemmia consiste nella raccolta dei grappoli maturi, affidata all’esperienza e alla profonda conoscenza delle uve dei viticoltori di Banfi, che si dedicano con scrupolosa cura alla selezione manuale dei grappoli migliori. Solo i grappoli privi di difetti e al punto giusto del loro percorso di maturazione vengono selezionati per la vinificazione, e quindi raccolti e deposti nei tini.

Pigiatura

La seconda fase della vendemmia, la pigiatura, rappresentava in un passato non troppo lontano un momento di aggregazione e una vera e propria festa collettiva. Durante la vendemmia antica, la popolazione, bambini compresi, si radunava nei campi e, a piedi scalzi, si dedicava alla pigiatura delle uve in grandi tinozze di legno.
Oggigiorno, la fase della pigiatura è affidata a speciali macchine agricole e pigiadiraspatrici che schiacciano gli acini e pressano i chicchi, dopo aver eliminato i raspi.

Alcune aziende vinicole e Wine Resort come quello di Castello Banfi, profondamente legati al territorio e alle tradizioni, offrono ai visitatori la possibilità di visitare le cantine e godere nel periodo di vendemmia delle attività che si svolgono in vigna.

Fermentazione, ri-fermentazione e invecchiamento

Le ultime fasi della vendemmia e della produzione del vino hanno come protagonisti il mosto e l’innovazione tecnologica.

La fermentazione alcolica, che inizia subito dopo la pigiatura, dura mediamente dai sette ai dieci giorni e avviene in botti a temperatura controllata realizzate con specifici materiali che preservano al massimo l’integrità e la ricchezza delle uve.
Infine, il vino viene lasciato invecchiare in ambienti a specifiche temperature e tassi di umidità, e solo quando raggiunge il risultato desiderato dal team di Enologi, viene imbottigliato e, dopo un periodo di riposo in bottiglia, immesso sul mercato.

Come si fa il vino?

Il processo che trasforma le uve in una delle bevande più antiche e apprezzate al mondo è al tempo stesso affascinante e complesso, una sapiente combinazione tra la perizia dell’uomo, acquisita nel corso di secoli di studio e ricerca, e la magia della natura. Chiedersi come si fa il vino ed approfondire il funzionamento di quell’elaborato microcosmo che è il procedimento per fare il vino permette di apprezzare in misura maggiore l’ampia varietà enologica offerta dai suoli italiani e l’eccellenza, frutto di ricerca e innovazione, di aziende vinicole come Banfi.

Gli appassionati che si chiedono cosa serve per fare un buon vino troveranno in questo approfondimento il racconto dei passaggi fondamentali (coltivazione, vendemmia, pigiatura, fermentazione, invecchiamento e imbottigliamento) del procedimento per fare il vino.

Difficile è racchiudere in parole l’esperienza completa di chi ha fatto della produzione di vino la propria filosofia di vita e di lavoro: la passione per la propria terra, la profonda conoscenza del territorio e il costante desiderio di innovazione sono solo alcuni dei principi che guidano case vinicole come Banfi.

Coltivazione

Per fare un buon vino occorrono innanzitutto materie prime di qualità. Ad esempio uve frutto di un lungo processo di selezione che comincia con la scelta del terreno adatto in cui impiantare i vigneti.

All’interno dei circa 3.000 ettari della tenuta Banfi, grazie agli studi di zonazione iniziati nei primi anni ’80, sono stati individuati circa 29 tipi diversi di suolo, con caratteristiche, altitudini e latitudini, oltre che esposizioni, diverse.

Fino ai 150 metri s.l.m. troviamo suoli compatti e argillosi, con temperature moderate, ottimi per la produzione di vini eleganti. Dai 150 e fino ai 300 metri di altitudine, invece, ci sono suoli sabbiosi, leggeri ed asciutti che favoriscono la produzione di vini più concentrati e ricchi di tannini. Suoli profondi con impasto medio, adatti a produrre vini più aromatici a strutturati, si trovano oltre i 300 metri.

Lo studio del comprensorio vinicolo volto a determinare l’attitudine di un suolo, in base alle sue caratteristiche microclimatiche, pedologiche e alla coltivazione di un determinato tipo di vitigno, è una tappa fondamentale del procedimento per far il vino. Si tratta inoltre di un tema particolarmente caro alla Sanguis Jovis – Alta Scuola del Sangiovese, il primo centro di studi permanente dedicato interamente alla ricerca e allo studio di uno dei vitigni più coltivati in Italia: il Sangiovese.

Vendemmia

Quando le uve raggiungono la perfetta maturazione, inizia la vendemmia. I tempi della vendemmia variano a seconda di diversi fattori, quali la tipologia di suolo e di vitigno, ma anche la latitudine o le condizioni climatiche che mutano di anno in anno. In Italia, si vendemmia tra inizio agosto e fine ottobre.

Tradizionalmente, la raccolta delle uve viene fatta a mano: i viticoltori esperti selezionano con cura solo i grappoli migliori, scegliendoli tra quelli privi di imperfezioni estetiche e con il giusto grado di maturazione. Oggi, alla vendemmia manuale, si affianca quella meccanica.

Nei vigneti Banfi, gesti antichi si fondono con nuove tecnologie. L’uva raccolta a mano arriva in cantina, sul banco di selezione, dove i singoli grappoli vengono accuratamente selezionati a mano dai nostri esperti, in modo da garantire che solo le materie prime migliori vengano impiegate per fare il vino. Una volta giunte in cantina, le uve vendemmiate con la macchina, invece, sono selezionate meccanicamente, così da assicurare la migliore qualità al prodotto finale.

Pigiatura

In caso di raccolta manuale, il procedimento per fare il vino prosegue con la diraspatura, a cui segue la pigiatura, ossia lo schiacciamento degli acini d’uva.

All’interno del vasto panorama di tradizioni e festività legate alla coltivazione della terra per il vino, in passato la pigiatura rappresentava un’occasione di festa per le famiglie dei villaggi, che si radunavano nelle piazze o in prossimità dei vigneti e a turno pigiavano con i piedi le uve appena raccolte all’interno di grandi catini.

Al giorno d’oggi i procedimenti di pigiatura moderna per fare il vino si basano sull’utilizzo di macchinari specifici che schiacciano gli acini senza deteriorare le bucce (pigiatura meccanica).

Fermentazione

Siamo finalmente pronti per una delle fasi più delicate di tutto il processo di produzione: la fermentazione.

La fermentazione alcolica ha lo scopo primario di convertire gli zuccheri in alcol e anidride carbonica (glicolisi) e quello secondario di produrre i cosiddetti aromi fermentativi che caratterizzeranno, in parte, il bouquet olfattivo del vino.

La fermentazione può essere attivata dai lieviti(definiti autoctoni o indigeni) presenti naturalmente nell’aria e depositatisi sulle bucce dell’uva. Tuttavia, a causa della loro indole mutevole, non è sempre possibile individuare con certezza quali siano quelli davvero utili e quali invece potrebbero compromettere la stabilità del vino. Per questo motivo, gli studiosi ricreano culture di lieviti selezionati in laboratorio con cui ottenere vini di maggior pregio.

Tempi e temperature di fermentazione

Quanti giorni deve fermentare l’uva per fare il vino? La durata della vinificazione dipende essenzialmente dalla tipologia dell’uva stessa e dal vino che con questa si vuole produrre: i vini più corposi e strutturati, come il Brunello di Montalcino, richiedono una fermentazione molto lunga, che da un minimo di 15 giorni può arrivare anche a 40 giorni e oltre.

Durante tutta la durata del processo, la temperatura del mosto deve essere tenuta sotto controllo, sia per garantire l’avvio stesso del processo di fermentazione sia per conservare intatte le caratteristiche aromatiche del vino.

A Banfi, per i vini bianchi, si utilizzano principalmente vasche in acciaio inox a temperatura controllata, anche se per alcuni si procede con una parziale fermentazione in barrique. Per i vini rossi importanti, come il Brunello di Montalcino, si adoperano i tini Horizon, tini combinati in acciaio e legno a temperatura controllata.

Invecchiamento

Una volta terminata la fase della fermentazione avviene la svinatura.

Dopo la svinatura, il vino si travasa nelle botti per la fase di invecchiamento. Per fare un buon vino è fondamentale la qualità del legno, generalmente rovere, con cui sono realizzate le botti, in quanto materiale “vivo e attivo”, influenza le qualità organolettiche e olfattive del vino.

Presso Banfi, la scelta del legno, della forma e delle dimensioni delle botti è da sempre il risultato di una sapiente ricerca e selezione dei materiali innovativi migliori.

Il tempo di invecchiamento del vino dipende dalla varietà dell’uva, oltre che dalla tipologia di vino che si vuole produrre. I vini rossi, soprattutto quelli corposi e di grande struttura, per esempio necessitano di diversi anni di invecchiamento.

Imbottigliamento

L’ultima fase del procedimento per fare il vino è l’imbottigliamento.

Prima di essere imbottigliato, il vino può essere filtrato, dopodiché, privato dell’ossigeno attraverso l’inserimento di azoto va in bottiglia, dove farà ancora affinamento se si tratta di vini particolarmente strutturati, come il Brunello di Montalcino, oppure sarà pronto per essere consumato.