Condimento Balsamico Etrusco

Condimento Balsamico Etrusco: storia, produzione, caratteristiche e curiosità sull’aceto balsamico di produzione Banfi.

 

Condimento balsamico etrusco: caratteristiche e produzione

 

Il soggiorno presso Castello Banfi Wine Resort, nel romantico borgo di Poggio alle Mura, regala esperienze indimenticabili, alla scoperta delle bellezze e della storia del territorio toscano, ricco di inestimabili tesori artistici, di suggestivi scorci paesaggistici e di sapori inconfondibili. Tra questi, spicca per la sua unicità il Condimento Balsamico Etrusco, un pregiato nettare simile all’aceto balsamico che accompagna i piatti più prelibati della tradizione italiana.
Nella nostra Balsameria, situata all’interno del Castello di Poggio alle Mura, ci dedichiamo con perizia e passione alla produzione del Condimento Balsamico Etrusco, utilizzando le uve di eccezionale pregio coltivate sul territorio e seguendo i metodi tradizionali degli antichi Etruschi.

 

Come nasce 

 

La tecnica di produzione del Condimento Balsamico Etrusco è lunga e complessa, con un invecchiamento che si protrae per circa 12 anni. Il risultato è un aceto balsamico dal profumo complesso e speziato e dal gusto inimitabile, frutto di un perfetto equilibrio agrodolce.
Le tradizionali uve montalcinesi a bacca bianca (Moscadello e Trebbiano) vengono raccolte tardivamente e poi pigiate per ottenere il mosto. Una volta filtrato, il mosto viene poi cotto. Si ottiene così un mostro denso e scuro, con una maggiore percentuale di zucchero. Una volta raffreddato, il mosto cotto viene poi collocato in botti di legno per un periodo variabile dai 4 agli 8 mesi. Durante questo arco temporale avviene il processo di balsamizzazione.

 

Processo di produzione

 

Il processo tradizionale di produzione dell’aceto balsamico, seguito in parte anche per la produzione del Condimento Balsamico Etrusco Banfi, prevede la preparazione di una “batteria”, ossia di una serie di piccole botti di legni differenti e di dimensioni decrescenti (da 60 a 25 litri).
Il materiale utilizzato per le botticelle è vario ed è il principale responsabile del variegato bouquet aromatico del Condimento Balsamico Etrusco: rovere, castagno, ciliegio, frassino e gelso rilasciano i loro aromi e contribuiscono a impreziosire la complessità olfattiva di questo particolare condimento-aceto balsamico.
Il travaso dalle botti più grandi a quelle più piccole interessa soltanto tre litri di condimento ed è un processo graduale, con tempi di permanenza differenti. L’intera procedura d’invecchiamento dura circa 12 anni, per un condimento balsamico semplicemente unico.

 

Caratteristiche 

 

Il Condimento Balsamico Etrusco si caratterizza per un colore bruno scuro, carico e lucente e per una ricca viscosità. Al naso, si presenta speziato e inebriante, con una gradevole e armonica acidità. Il suo profumo è unico e complesso, frutto, come detto in precedenza, dell’affinamento in botti di legno pregiato di diverso materiale ma anche della qualità delle uve tardive tipiche del territorio montalcinese.
Anche il sapore è inconfondibile, con un sapiente equilibrio di tendenze agrodolci e un gusto pieno e ricco.

 

Cosa abbinare al Condimento Balsamico Etrusco

 

Queste sue caratteristiche aromatiche lo rendono il condimento ideale per risotti di ogni tipo, in particolare per il ricercato risotto fragole e aceto balsamico o per il più tradizionale risotto alla milanese.
Altri primi piatti da arricchire con il Condimento Balsamico Etrusco possono essere le fettuccine con salsiccia e aceto balsamico, un piatto che unisce il sapore rustico della carne di maiale a quello raffinato del condimento.
Si sposa perfettamente anche con le carni bianche e rosse alla griglia e può essere utilizzato per la preparazione di gustose scaloppine o filetti marinati. Aggiunge sapore e gusto al pesce, soprattutto se cotto al forno o al cartoccio. Infine, caratterizzandosi per la sua equilibrata aromaticità, il Condimento Banfi, viene spesso impiegato per la preparazione di dessert a base di frutta e gelatina.

 

La Balsameria: ecco dove nasce il Condimento Balsamico Etrusco

 

La raffinata preparazione del Condimento Balsamico Banfi avviene all’interno della Balsameria di Castello Banfi, un luogo d’altri tempi che è possibile visitare quando si soggiorna presso Castello Banfi Wine Resort.
Gli antichi magazzini di Castello Banfi, situati sotto l’ala nord dell’edificio, sono stati trasformati nel luogo di produzione di questo condimento grazie alle loro caratteristiche climatiche. Ricordano una vera e propria cantina in miniatura, dove è possibile ammirare le botti di diverse dimensioni e i materiali utilizzati per l’affinamento del mosto.
Su ciascuna delle botti, collocate in file ordinate tra le colonne di mattoni rossi, spicca un panno di lino con una catena di metallo: la tradizione vuole che impedisca alla polvere e agli insetti di contaminare il prodotto.

 

Visita la Balsameria

 

Visitare la nostra Baslameria, dunque, non è solo un’esperienza gastronomica ma anche un’incantevole immersione nelle tradizioni del territorio montalcinese che, nel caso della produzione del Condimento Balsamico Etrusco, risalgono fino al tempo degli Etruschi.

Guida ai regali: che vino regalare per fare bella figura

Se si ha la necessità di portare un dono a casa di amici o per un’occasione speciale non c’è niente di meglio di una buona bottiglia di vino.

Ma che vino regalare per fare bella figura? È meglio un bianco o un rosso? Di seguito la guida ai regali di cui avete bisogno per scegliere il vino migliore da regalare.


Scegli un vino Banfi per fare bella figura


Il primo consiglio da seguire, sia che si tratti di vini da regalare per il compleanno che di vini da regalare a Natale, è quello di puntare sempre su un vino di qualità. Acquistare un prodotto di qualità e portarlo in dono a una persona cara significa anche condividere con lei i valori e gli ideali del produttore di vino.

Un secondo consiglio è quindi quello di informarsi sulle caratteristiche, i valori e i metodi di produzione dell’azienda vinicola della quale si desidera acquistare il vino.

Regalare uno dei nostri vini, per esempio, significa condividere gli stessi principi di un’azienda vinicola che ha fatto della ricerca e della conoscenza sul territorio la chiave del suo successo e diffonderne gli ideali: la valorizzazione della terra e delle persone che la abitano, il rispetto dell’ambiente e delle risorse territoriali.


Guida ai regali: Vini classici

Se non si conoscono i gusti personali del destinatario del regalo, suggeriamo di circoscrivere la scelta del vino da regalare ai grandi classici, ovvero alle etichette dalla fama indiscussa che anche i non intenditori conoscono.

Un Brunello di Montalcino o un Chianti Classico sono conosciuti e apprezzati in tutto il mondo e rappresentano alcune delle più prestigiose eccellenze enologiche italiane.

 

Guida ai regali: Vini da collezione

Anche i vini da collezione possono essere un regalo molto gradito, sia per i collezionisti interessati alla qualità del vino che per quelli interessati all’estetica della bottiglia. 

Nel primo caso sarà fondamentale selezionare una buona annata di produzione, tenendo presente che i vini rossi invecchiati venti o trent’anni sono considerati dei veri e propri gioielli da collezione.

Nel secondo caso, invece, si suggerisce di puntare su bottiglie per occasioni particolari o su delle edizioni limitate. È il caso, ad esempio, de La Pettegola Limited Edition 2022, il Vermentino di Banfi la cui etichetta è stata realizzata da Van Orton Design.

 

Guida ai regali: Vini da meditazione

I vini da meditazione sono molto richiesti e apprezzati. Si tratta di vini corposi, strutturati e da gustare anche da soli. Sono perfetti per le degustazioni o da sorseggiare per un momento di relax: se non si sa che vino regalare per fare bella figura, un buon vino da meditazione magari accompagnato da un calice da degustazione e da un buon libro sono la scelta ideale.

 

Guida ai regali: Vino rosso

La scelta del vino rosso da regalare a Natale e in altre occasioni speciali è di certo guidata dai gusti personali del destinatario ma, come detto in precedenza, ci sono etichette classiche che fa sempre piacere ricevere, per essere stappate ad esempio insieme in occasione di una cena in famiglia o tra amici. 

Il Centine Rosso, ad esempio, si presta a essere consumato in ogni occasione, grazie al suo gusto equilibrato, dove pienezza e morbidezza sono ben bilanciate da una buona acidità. Anche il Belnero è un ottimo vino rosso da regalare: nato dall’incontro di vitigni internazionali coltivati nel territorio di Montalcino e del Sangiovese, è un vino elegante e corposo, dalla struttura potente e morbida, perfetto da portare in dono per una cena a base di carne.

 

 

Guida ai regali: Vino bianco

Un vino bianco buono da regalare è invece il Fontanelle che si distingue al naso per i suoi aromi fruttati e floreali intensi ed eleganti e che presenta ottime potenzialità di invecchiamento. Raffinato ed equilibrato sia nell’estetica della bottiglia che nel gusto è infine il Principessa Gavia, un vino bianco da regalare a chi ama i vini morbidi, con una punta di acidità ma dal bouquet aromatico leggero e variegato.

Come conservare il vino?

Tra i fattori che influenzano l’esperienza di degustazione di un vino vi è senza dubbio il suo stato di conservazione: al fine di mantenere intatte le sue caratteristiche e di valorizzarne il bouquet di aromi all’apertura, è fondamentale sapere dove e come conservare il vino in casa quando è ancora sigillato o una volta aperte le bottiglie di vino.

 

Come conservare il vino: i fattori da tenere in considerazione

 

Per conservare il vino in casa in modo ottimale è importante prendere in considerazione tre aspetti:

la temperatura del vino, la luminosità della stanza e la posizione della bottiglia.

 

Temperatura

La temperatura riveste un ruolo essenziale: gli sbalzi termici o temperature sbagliate possono modificare le caratteristiche organolettiche del vino e danneggiarne le peculiarità olfattive, aromatiche e di gusto, nonché ritardare o accelerare il processo di invecchiamento.

Sotto i 10° si rischia la formazione di piccoli cristalli di ghiaccio mentre sopra i 18° il vino potrebbe andare incontro a una maturazione veloce, oltre alla perdita delle caratteristiche originarie. Nel caso dei vini bianchi si consiglia una temperatura di 10°- 12°C mentre per i vini rossi una temperatura tra i 12° e i 15°C.

 

Luminosità

I raggi solari sono dannosi per la bottiglia di vino poiché possono innescare un processo di ossidazione che ne compromette il gusto e la qualità.

Ecco perché si consiglia sempre di conservare il vino in luoghi bui o semibui e soprattutto di non esporlo mai al contatto diretto con la luce solare o luci fosforescenti.

 

Posizione

Un altro fattore da tenere in considerazione è la posizione della bottiglia. Quindi, come conservare il vino, in orizzontale o in verticale? Il consiglio è che le bottiglie vengano disposte in posizione orizzontale per fare in modo che il liquido bagni il tappo di sughero così da impedire l’avvio del processo di ossidazione.

I veri intenditori sanno bene che la posizione ideale è non perfettamente orizzontale: la bottiglia andrebbe infatti ulteriormente inclinata di 5° con il tappo rivolto verso l’alto. La maggior parte delle cantinette per vino dispongono non a caso di una griglia per le bottiglie proprio con questa inclinazione.

 

 

Dove è meglio conservare il vino


Cantina

Il luogo ideale dove è meglio conservare il vino è la cantina perché si tratta di un ambiente buio e con una temperatura più costante rispetto ad altre stanze dell’abitazione.

Non a caso, nelle aziende vinicole la cantina è il cuore pulsante della vinificazione, lo scrigno che custodisce i vini durante il loro affinamento in botti e bottiglie e che consente la maturazione al punto giusto per prodotti di qualità.

 

Cantinette o celle frigorigere

Tuttavia, non tutti hanno la fortuna di avere una cantina. In questi casi, si può ricorrere alle cantinette o wine library, delle particolari celle frigorifere progettate per conservare il vino a temperatura controllata e in posizione orizzontale. I modelli migliori sono piccoli e compatti e possono ospitare numerose bottiglie occupando poco spazio. Alcune sono dei veri e propri gioielli tecnologici e di design.

 

 

Quanto tempo si può conservare una bottiglia di vino aperto

Il vino è un prodotto “vivo”: le sue caratteristiche, infatti, mutano nel tempo. Se lasciato a lungo in bottiglia sigillata, in condizioni ottimali, i suoi profumi e suoi aromi si evolvono in strutture più complesse e articolate con il passare del tempo.

Lo stesso accade quando si apre una bottiglia: il contatto con l’aria produce delle alterazioni delle componenti organolettiche del vino. In diversi casi l’ossigenazione del vino è un procedimento che permette al vino di sprigionare al meglio le proprie caratteristiche. È il caso, ad esempio, dei vini rossi invecchiati e ben strutturati, che vanno fatti arieggiare all’interno di appositi decanter o nella bottiglia stessa prima di essere serviti.

 

Ossigenazione

 L’ossigenazione, infatti, ha la funzione di riequilibrare il vino con l’ambiente circostante eliminando il cosiddetto sentore di riduzione. 

Tuttavia, tenere una bottiglia aperta per lungo tempo ne altera le caratteristiche danneggiando il vino. Le sostanze aromatiche evaporano e può aumentare l’acidità volatile che conferisce al vino uno spiacevole gusto acido.

Quindi, quanto tempo si può conservare una bottiglia di vino aperto? Tutto dipende dalla tipologia di vino. 

 

Come conservare il vino bianco e lo spumante

In generale, i vini bianchi vanno conservati a una temperatura di 10° – 12°C quando la bottiglia è ancora sigillata, possibilmente in posizione orizzontale. La conservazione dopo l’apertura per i bianchi è possibile per uno/tre giorni solo se il tappo è a vite mentre per gli spumanti solo poche ore (massimo 24 ore).

 

Come conservare il vino rosso

I vini rossi invece vanno conservati a una temperatura tra i 12° e i 15°C in posizione orizzontale. Tuttavia, è consigliabile ruotarli in posizione verticale un giorno prima di servirli in tavola. Questo accorgimento favorirà infatti il deposito delle particelle sul fondo.

Tradizioni natalizie in Toscana

Da presepi artistici a tradizioni culinarie, scopri il momento più magico dell’anno con le prelibatezze natalizie toscane e abbinale al vino giusto.

Dicembre è uno dei periodi più suggestivi dell’anno per visitare la Toscana, complici senza dubbio l’atmosfera magica che si respira già dai primi giorni del mese nelle città d’arte come Firenze e Siena o nei borghi medievali come Poggio alle mura e Montalcino dove le tradizioni natalizie della Toscana affascinano turisti di ogni età.


Il Natale in Toscana


Il Natale in Toscana è infatti un’esperienza da fare almeno una volta nella vita, da vivere in coppia o in famiglia, circondati da bellezze paesaggistiche mozzafiato che, nel periodo natalizio, si colorano di nuove sfumature e suggestioni. Ma il Natale in Toscana è anche sinonimo di ospitalità, buon vino e buon cibo, grazie alla ricchezza della tradizione culinaria locale che mescola con sapiente armonia ingredienti di qualità e ricette della tradizione contadina, in grado di soddisfare anche i palati più esigenti.


Le tradizioni natalizie in Toscana


Le tradizioni natalizie toscane affondano le loro radici nei tempi antichi e vengono riproposte di generazione in generazione per tenere vivo il legame con il passato e con una terra così ricca di storie, leggende, eventi e tradizioni.


Borghi e presepi

Sono soprattutto i borghi a essere protagonisti delle tradizioni natalizie in Toscana: Barga, Petroio, Pescaglia e altri piccoli gioielli della valle del Serchio si trasformano durante il periodo natalizio in un vero e proprio presepe vivente a cielo aperto, dentro il quale è possibile passeggiare ammirando i capolavori dei maestri figurinai dedicati alla natività, ma anche alle tradizioni popolari. Il più affascinante è il Presepe Artistico di Petroio con oltre 100 personaggi.


Falò e fiaccolate

Nel piccolo borgo di Gorfigliano, nell’Alta Garfagnana, la sera della vigilia s’illumina di magia grazie allo splendore dei Natalecci, altissimi falò collocati nei punti più alti delle colline circostanti, che vengono accesi contemporaneamente al rintocco delle campane, avvolgendo il borgo in una luce magica. L’evento è una delle tradizioni natalizie della Toscana più antiche di sempre: le tecniche di costruzione del nataleccio, con rami di ginepro e castagno, sono un segreto tramandato da secoli di generazione in generazione e la competizione tra le famiglie della zona è sentita ancora oggi.
Risale a prima dell’anno Mille invece la fiaccolata di Abbadia San Salvatore, un grazioso borgo nel cuore dell’Amiata. La leggenda vuole che gli abitanti dei borghi della Via Francigena si riunissero lì per la tradizionale messa della Vigilia e che il loro percorso verso l’abbazia fosse illuminato e rischiarato da grandi falò.
Il 7 dicembre invece, per la vigilia dell’Immacolata, è il comune di Gallicano a scintillare alla luce della Fiaccola, che viene accesa ritualmente nella piazza addobbata a festa, tra i canti di Natale e le colorate bancarelle dei mercatini.


Cosa si mangia a Natale in Toscana


Le tradizioni natalizie in Toscana sono antiche anche quando si parla di tradizioni gastronomiche. La Toscana è infatti patria delle eccellenze culinarie italiane più apprezzate in tutta la penisola e nel mondo, tra cui i vini pregiati del territorio montalcinese. Non deve stupire quindi che molte ricette natalizie siano riproposte anche in altre zone d’Italia.


Ma cosa si mangia a Natale in Toscana?


Si parte, come da tradizione, con gli antipasti a base di salumi, accompagnati da un bianco della zona, e con i crostini ai fegatelli, chiamati anche crostini neri, simbolo di una tradizione culinaria rustica e umile ma ricca di gusto.
Tra i primi piatti, ritroviamo i tortellini in brodo di cappone, rigorosamente fatti a mano con pasta fresca all’uovo, e la cosiddetta ribollita di cavolo nero, una minestra a base di fagioli, verza e cavolo, servita in ciotole di terracotta. Le tradizioni natalizie della Toscana prevedono un secondo a base di carne, altra eccellenza del territorio: arrosto di chianina, fegatelli di maiale, faraona e anatra all’arancia sono le specialità tipiche di questo periodo.
Sulla tavola di Natale dei fiorentini doc non possono poi mancare i dolci tipici della Toscana: castagnaccio, panforte di Siena, ricciarelli, cantuccini rigorosamente intinti del vin santo come vuole la tradizione.


Visita la nostra Enoteca durante il periodo natalizio


La Toscana si riconferma dunque una delle regioni più ricche di cultura e fascino anche quando si parla di tradizioni natalizie, motivo per cui nel mese di dicembre è la meta privilegiata di numerosi turisti.
Per chi sceglie di trascorrere il Natale in Toscana tra le dolci colline, il borgo di Poggio alle Mura (dove è situato Castello Banfi Wine Resort), avvolto nella suggestiva e festosa atmosfera natalizia, sembra quasi un luogo incantato, un piccolo scorcio di presepe, una romantica cartolina di auguri. Oltre che per visitare il nostro piccolo borgo, potrai scoprire le tradizioni gastronomiche della Toscana e visitare l’Enoteca di Castello Banfi Wine Resort, una vera e propria bottega toscana d’altri tempi, con il soffitto di travi a vista e il pavimento rustico. Qui potrai degustare alcuni dei migliori prodotti offerti dalla terra del Brunello: salumi, formaggi, olii e naturalmente un’ampia selezione di vini, immersi nella magica atmosfera del Natale.

Sboccatura vino: cos’è e a cosa serve

Il procedimento di sboccatura permette l’eliminazione di sedimenti. Scopri come viene eseguita e in quale fase della produzione del vino.

Che cos’è la sboccatura del vino e come si esegue

La sboccatura del vino rappresenta una fase fondamentale per la produzione degli spumanti metodo classico e, nel caso di Banfi, le nostre bollicine vengono prodotte secondo questo procedimento nella cantina Banfi Piemonte situata a Strevi, in provincia di Alessandria.
Oltre alla nostra cantina visitabile immersa tra i vigneti montalcinesi presso l’incantevole e suggestiva tenuta di Castello Banfi Wine Resort, l’azienda Banfi dispone infatti anche di un’altra casa vinicola altrettanto storica con annessa una superficie di 50 ettari (di cui 46 a vigneto) in Piemonte. Qui produciamo bollicine di qualità come gli spumanti metodo classico e gli Charmat.

 

In quale fase della produzione si esegue la sboccatura dello spumante?

La sboccatura del vino è un procedimento che prevede l’eliminazione dei residui di fermentazione dalle bottiglie di spumante metodo classico.
Gli spumanti metodo classico, infatti, subiscono una seconda fermentazione in bottiglia: la cuvée di vini base, realizzata con vini pregiati del territorio (piemontese nel caso di Banfi Piemonte), viene arricchita con un liqueur de tirage, una miscela a base di zuccheri, minerali e lieviti in grado di innescare la rifermentazione del vino e la cosiddetta presa di spuma. Tale processo, però, comporta la formazione di residui e lieviti esausti, che compromettono la cristallina limpidezza che caratterizza gli spumanti italiani.

 

Processo

Per questo, le bottiglie vengono capovolte e, attraverso il complesso procedimento di remuage, manuale o meccanico, i residui vengono intrappolati verso il collo della bottiglia, all’interno della bidule posta sotto il tappo a corona.
È in questa fase che si procede alla sboccatura del vino, ossia alla rimozione del tappo a corona con i residui e all’inserimento del nuovo caratteristico tappo di sughero che contraddistingue gli spumanti metodo classico.

 

Sboccatura del vino: significato e origine del nome

La parola “sboccatura” con la quale si designa l’intero processo di eliminazione dei residui, fa riferimento all’atto vero e proprio di stappare la bottiglia. La parola francese “dégorgement”, invece, ugualmente utilizzata in Italia per indicare questo procedimento (data la profonda influenza della cultura vinicola francese nella produzione di spumanti metodo classico) può essere tradotta alla lettera con “scarico” e fa riferimento invece all’eliminazione dei residui. I due termini sono utilizzati indistintamente come sinonimi.

 

Dégorgement: differenze tra procedura manuale e meccanica

All’interno dell’articolato e complesso processo di produzione, la sboccatura dello spumante occupa un ruolo importante, poiché garantisce la presentazione di uno spumante limpido e cristallino, dal perlage luminoso e dalle bollicine di carattere. Un tempo quest’operazione veniva eseguita a mano, anche all’interno della cantina Banfi Piemonte, da esperti di remuage manuale e dégorgement à la volée, attraverso gesti sapienti e precisi, frutto di anni di esperienza in questo settore.

 

Dégorgement à la volée: la procedura tradizionale

Il dégorgement à la volée, ossia la sboccatura a mano, consiste nello stappare a mano la bottiglia capovolta, sfruttando la pressione che si è venuta a creare al suo interno durante la rifermentazione ed eliminando così i residui all’interno del tappo e della bidule. Successivamente, si procede con il raddrizzarla velocemente così da ridurre la fuoriuscita dello spumante.
In questa fase, è possibile sopperire alla perdita di liquido attraverso una procedura di rabbocco con liquer d’expedition o liquer de dosage, una miscela zuccherina che impreziosisce gli spumanti metodo classico e contribuisce ad arricchire l’esperienza sensoriale.

 

Innovazione

La difficoltà del dégorgement à la volée ha reso indispensabile l’invenzione di una procedura meccanizzata che riducesse al minimo o annullasse completamente la fuoriuscita del vino. Tuttavia, per i formati pregiati o per le cuvée più particolari, ci si serve ancora di questa tecnica manuale che potremmo definire una vera e propria arte, appannaggio esclusivo di esperti maestri vinaioli, come quelli di Banfi.

 

Dégorgement a la glace: la procedura moderna

La procedura meccanizzata di sboccatura del vino o dello spumante prende il nome di dégorgement a la glace. Le bottiglie sottoposte a remuage vengono prelavate dalle pupitres (le apposite tavole di legno sulle quali vengono collocate con il collo rivolto verso il basso) e deposte in appositi macchinari che congelano il collo della bottiglia e il tappo a corona grazie a un particolare composto salino in grado di portare il liquido e i sedimenti a una temperatura tra i -25°C e i -30°C.

 

I macchinari

I macchinari procedono così a capovolgere le bottiglie, che si ritroveranno con il collo verso l’alto: a differenza di quanto avviene nel dégorgement manuale, con il dégorgement a la glace i lieviti esausti e gli altri residui intrappolati nella bidule saranno ghiacciati, senza il rischio che cadano nella bottiglia e intorbidiscano nuovamente il vino.
È quindi possibile procedere alla rimozione del tappo ghiacciato in tutta sicurezza (l’effettiva sboccatura dello spumante metodo classico), all’eventuale rabbocco del vino e alla collocazione del tappo di sughero con la gabbietta metallica.

 

Conclusioni

Il dégorgement a la glace è, come detto in precedenza, la procedura di sboccatura del vino più utilizzata dai produttori. Tuttavia, osservare un maestro vinaio che esegue il dégorgement manuale è un vero e proprio spettacolo, un’esperienza da non perdere se si ama il vino e la sua produzione secondo le antiche tradizioni.

Che vino bere con la carbonara?

La carbonara, espressione della cucina popolare romana, apprezzata ovunque in Italia da turisti e italiani è (solo all’apparenza) uno dei piatti più semplici da preparare, dato l’esiguo numero d’ingredienti: pasta, uova, guanciale e pecorino romano. Tuttavia, dalla sapiente mescolanza di tali ingredienti, nasce un piatto carico di sapori, deciso nella consistenza e nei colori. Una portata così deve accompagnarsi a un vino che sappia reggere il confronto con la complessità di sapori di questa pietanza. Dunque, qual è il miglior vino per la carbonara?

 

Carbonara: abbinamento vino e regole generali

 

La carbonara è un piatto molto complesso dal punto vista della struttura e dei sapori. Per questo motivo vini leggeri e poco strutturati rischiano di eclissarsi a confronto con la ricchezza di sapori di questo primo piatto.

Il vino da abbinare alla carbonara va dunque scelto tra quelli freschi, con una buona acidità, capaci di bilanciare la componente grassa e la tendenza al dolce della pasta.

Il tuorlo d’uovo ha infatti una certa grassezza che tende al dolce. Inoltre, sia il guanciale che il pecorino romano, ingredienti fondamentali per la preparazione della carbonara tradizionale, sono altrettanto grassi e untuosi. Se da un lato questo conferisce alla carbonara il sapore inimitabile che l’ha resa un piatto tipico della cucina italiana, dall’altro potrebbe smussare il gusto di un vino altrettanto rinomato ma non adatto a un confronto di sapori di questo tipo. Per pulire il palato si consiglia quindi un vino con una buona acidità.

Seguendo queste indicazioni generali, è possibile selezionare la tipologia di vino per la carbonara tra bianchi, rossi e spumanti.

 

 

Carbonara: vino bianco in abbinamento

 

Per accompagnare la carbonara, il vino bianco deve avere un carattere deciso e grintoso, con una buona acidità e una struttura che possa bilanciare la ricchezza e la sapidità degli ingredienti. Si consiglia di optare quindi per vini corposi e freschi, dai profumi avvolgenti, meglio se affinati in legno. Le varietà che meglio si sposano con la carbonara sono quelli da vitigni Chardonnay o Vermentino.

 

Che vino rosso abbinare alla carbonara?

Per la scelta dei vini rossi è bene orientarsi su vini strutturati ma dalla carica tannica moderata: un’eccessiva concentrazione di tannini, così come troppa corposità, potrebbero infatti contrastare in modo spiacevole la tendenza al dolce dell’uovo. Dunque, che vino rosso abbinare alla carbonara? Una Barbera d’Asti o alcuni vitigni internazionali, come il Cabernet Sauvignon o il Merlot sono tra i più indicati, grazie alla loro morbidezza e alle note speziate che richiamano all’olfatto i profumi ed il sapore del guanciale. 

 

Carbonara: abbinamento vino spumante

Lo spumante come vino da abbinare alla carbonara è principalmente una scelta filosofica: la carbonara tradizionale, intesa come piatto rustico e contadino, si accompagna a spumanti freschi e decisi, con bollicine in grado di contrastare apertamente la grassezza dell’uovo e del guanciale.

 

Vino per Carbonara: i più adatti nella selezione Banfi

 

Banfi prevede un’ampia selezione di vini che, per carattere e freschezza, sono tra i migliori da abbinare alla carbonara. Ecco una selezione di bianchi, rossi e spumanti che meglio si adattano a questo grande classico della cucina italiana.selezione di vini in distribuzione

 

I bianchi di Banfi

Il Centine Bianco, fresco e pieno al palato, fruttato e floreale all’olfatto, è il bianco toscano ideale per accompagnare un piatto di spaghetti o rigatoni alla carbonara. La sua struttura ben bilanciata e la pregevolezza delle varietà Chardonnay e Vermentino accompagna il sapore rustico del pecorino e del guanciale senza smorzarli.

Un altro bianco indicato è il Fontanelle, da uve Chardonnay con ottime potenzialità d’invecchiamento e una struttura morbida ben bilanciata da una punta di sapidità. Complesso ed elegante, questo vino per carbonara esprime appieno tutte le peculiarità del territorio montalcinese.

Un altro vino adatto tra i bianchi è infine La Pettegola, un Vermentino IGT Toscana molto fresco ideale per essere bevuto a tutto pasto.

 

I rossi di Banfi

 

Piemontesi

Tra i vini rossi suggeriamo L’Altra, un Barbera d’Asti affinato in tini d’acciaio dalle spiccate note di frutti rossi e sentori di viola. Al palato si presenta fresco e piacevolmente acido, con una delicata concentrazione di tannini che esalta la tendenza al dolce dell’uovo senza comprometterla.

Un altro abbinamento per vino e carbonara vincente è quello con La Lus, un rosso di carattere, dalla struttura morbida e vellutata, con vari sentori di liquirizia e vaniglia. Nato dall’unione di vitigni Barbera e Nebbiolo, è perfetto per abbinamenti con primi piatti carichi e saporiti, come appunto la carbonara. 

 

Toscani

Anche il Centine Rosso Varietale, vino elegante e pieno nato dall’incontro tra Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot, si sposa egregiamente con la carbonara. I profumi fruttati, arricchiti da un leggero sentore di vaniglia, esaltano i primi piatti intensi e speziati, e il suo finale persistente ben si accompagna con il gusto deciso del pecorino e del guanciale.

 

Gli spumanti Banfi

Il Banfi Brut Metodo Classico si contraddistingue per un’innata freschezza e vivacità al palato, derivante dalle varietà di uve pregiate da cui trae origine: Chardonnay e Pinot Bianco. Affinato sui lieviti per 30 mesi, ha una struttura ben equilibrata e solida, che si bilancia perfettamente con le note grassose e speziate della carbonara.

Tra i vini con bollicine da abbinare alla carbonara, non si può non includere anche il Cuvée Aurora, uno spumante metodo classico elegante e armonioso che si chiude con un finale fresco e sapido, ideale per sgrassare il palato quando si gusta una carbonara cucinata a regola d’arte.

Vino da abbinare al tartufo: quale scegliere?

All’interno del variegato panorama enogastronomico della nostra penisola, fatto di eccellenze locali e attenzione alla qualità delle materie prime, un posto d’onore lo merita il tartufo, protagonista di molti piatti tipici della cucina italiana. E, all’interno dell’esperienza degustativa unica rappresentata da questo fungo pregiato, la scelta del vino da abbinare al tartufo riveste un ruolo fondamentale.

Sapori ricercati e intensi come quelli sprigionati dai piatti a base di tartufo, infatti, possono essere ancor più valorizzati se abbinati a vini pregiati da scegliere con cura. Così come le ricette più classiche o le più innovative sono realizzate dal sapiente equilibrio di sapori e profumi tra i vari ingredienti, così anche il vino da abbinare al tartufo deve far parte di questa armoniosa sinfonia degustativa.

 

Abbinamento vino e tartufo: gli errori da non commettere

 

L’abbinamento di vino e tartufo deve iniziare da una conoscenza di entrambi i prodotti, che si presentano decisi e peculiari al gusto e all’olfatto. Da qui bisogna partire per evitare di cadere in errore quando si sceglie il vino da abbinare al tartufo. Ecco, quindi, gli errori più comuni da evitare per poter gustare al meglio un piatto a base di tartufo.

Il più ricorrente è quello di associare al tartufo bianco un vino bianco e al tartufo nero un vino rosso. In verità, la scelta del vino non dipende dal colore ma dal profumo e dalla sua struttura.

Nella scelta del vino per tartufo è importante considerare soprattutto metodo e botti di invecchiamento del vino. Ad esempio, vini invecchiati in barrique di legno, caratterizzati da un sentore di vaniglia piuttosto deciso, non si sposano affatto con il gusto del tartufo e rischierebbero di rovinare l’esperienza degustativa.

Quando si tratta di spumanti, è invece bene essere accorti e parsimoniosi sulle bollicine: gli spumanti Metodo Charmat tendono a coprire il sapore del tartufo con la loro dolcezza ed effervescenza concentrata.

Infine, non bisogna dimenticare che il tartufo, sebbene protagonista indiscusso della portata, non è l’unico ingrediente che apporta sapore e consistenza al piatto: è importante anche tenere conto dei diversi ingredienti che lo compongono per scegliere cosa bere con il tartufo.

 

Vino da abbinare al tartufo: alcuni suggerimenti

 

La regola principale per un perfetto abbinamento vino-tartufo è quella di considerare il vino come un accompagnamento al tartufo, un’ancella che accompagna la sua signora per farla apparire ancora più nobile: il vino non deve sovrastare mai il tartufo, né a livello olfattivo né a livello di gusto.

I vini che esaltano la delicata aromaticità del tartufo, senza sovrastarla con il loro carattere e bouquet, sono i candidati ideali per accompagnare i piatti a base di tartufo.

Il suggerimento è quindi quello di prediligere vini poco corposi, con una media struttura e una discreta quantità di tannini e con profumazione non troppo fragrante.

 

 

I migliori vini Banfi per tartufo bianco e nero

 

Tra i vini di produzione Banfi, ecco quelli che ti consigliamo di abbinare ai tuoi piatti a base di tartufo (nero o bianco).

 

Che vino si abbina al tartufo bianco?

 

Il tartufo bianco, caratterizzato da un aroma pungente e intenso, con leggeri sentori di aglio al naso e al palato, ha un gusto delicato, con note leggermente piccanti e dolci. Si utilizza principalmente a crudo per condire squisiti piatti a base di pasta all’uovo e necessita di un vino non eccessivamente profumato, asciutto e leggermente amarognolo.

Nell’abbinamento dei vini con tartufo bianco, la scelta di uno spumante italiano è la più classica e apprezzata, soprattutto per quelli prodotti con varietà da Pinot Nero, come il Banfi Brut Metodo Classico o il Cuvée Aurora Blanc de Noirs, le cui note di erbe aromatiche si sposano alla perfezione con il retrogusto pungente del tartufo bianco. Anche La Lus, il rosso Albarossa, una varietà nata dall’unione della Barbera e del Nebbiolo, si accompagna in modo impeccabile al tartufo bianco, grazie alla sua struttura morbida e vellutata.

Se invece si ricerca un abbinamento vino e tartufo bianco meno tradizionale che lasci spazio all’esplorazione di nuovi connubi di sapore, la scelta ideale per stuzzicare il palato è il Fontanelle, il vino Banfi da uve Chardonnay elegante e complesso, adatto a piatti elaborati arricchiti con una spolverata di tartufo.

 

Come abbinare il tartufo nero

 

Il tartufo nero è più versatile in cucina rispetto a quello bianco, per cui lo si può utilizzare sia cotto che crudo; ha un sapore delicato, quasi dolciastro e predilige quindi vini strutturati e invecchiati pochi anni, come il Rosso di Montalcino. Il più famoso vino del territorio montalcinese ha infatti una struttura ampia e armonica, con un’acidità ben bilanciata che contrasta amabilmente il retrogusto dolciastro del tartufo nero.

Infine, anche il Chianti Classico accompagna molto bene i piatti della tradizione come le tagliatelle al tartufo nero, grazie alla sua struttura equilibrata e al profumo complesso ma non invadente.

Remuage manuale: significato e procedimento

Gli spumanti pregiati come il Cuvée Aurora Rosé, il Cuvée Aurora, il Cuvéè Aurora Blanc, il Cuvéè Aurora Riserva 100 Mes o il Banfi Brut Metodo Classico si contraddistinguono, oltre che per il profumo intenso e avvolgente e per il perlage fine e persistente, anche per un’eccezionale limpidezza, considerata uno dei segni distintivi degli spumanti metodo classico. Tale caratteristica è frutto di un elaborato procedimento chiamato remuage che, nella sua forma manuale, permette di raccogliere i sedimenti nel collo della bottiglia per poi andarli a eliminare successivamente con la sboccatura.

Che cosa si intende per remuage?

La parola “remuage” è di origine francese e significa letteralmente “scuotimento”. Nel caso del remuage della bottiglia di spumante, tale scuotimento è controllato e calcolato al millimetro con la massima precisione, attraverso movimenti decisi e studiati nel tempo.

L’origine francese del termine tecnico che identifica il processo di “scuotimento controllato” testimonia le origini francesi del procedimento stesso. Durante il XIX secolo nella regione Champagne-Ardenne della Francia, molto rinomata per le sue bollicine, i produttori vinicoli idearono questa pratica per rendere limpidi gli spumanti metodo classico, così da eliminare la feccia e i residui della fermentazione e donare allo spumante il classico perlage che lo contraddistingue.

Cenni storici sul remuage 

Il primo ad adottare un metodo efficace per far accumulare i sedimenti nel collo della bottiglia fu, secondo la tradizione, Jean Godinot, canonico della Cattedrale di Reims e rinomato viticoltore. Egli suggerì di collocare le bottiglie, parzialmente rovesciate, in un letto di sabbia, così da favorire il deposito dei sedimenti. Tuttavia, tali letti di sabbia occupavano un discreto spazio nelle cantine e, in un periodo storico in cui la produzione e il consumo di champagne era aumentato in Francia e in Europa, era necessario trovare una soluzione diversa.

Si deve alla signora Clicquot, proprietaria di una famosa cantina nello Champagne e a uno dei suoi dipendenti, Antoine Muller, l’invenzione della tavola da remuage, una sorta di scaffale a tre o quattro livelli, i cui ripiani erano realizzati con tavoli dotati di fori obliqui in cui posizionare le bottiglie inclinate.

La prima pupitres così come si conosce oggi risale invece al 1864 e fu brevettata da Michelot. La struttura consisteva in una tavola inclinata con la giusta angolazione in cui era possibile inserire 120 bottiglie e prelevarle comodamente per poter eseguire il remuage manuale.

Nel corso degli anni, le pupitres si sono evolute per consentire una maggiore automazione nel processo di remuage: la pupitre a manovella e la pupitre di Mereaux non ebbero molto successo, poiché facilmente soggette a rottura, mentre fu adottata in molte cantine la pupimatic del 1966, una pupitre composta da pannelli verticali con 240 alloggiamenti per le bottiglie, azionata da motori elettrici.

Il lento passaggio dal remuage manuale a quello automatico ebbe inizio tra il 1972 e il 1973, con l’invenzione dello champarex, una macchina che agiva non sulle singole bottiglie ma sull’intera cassa che le conteneva, e del cosiddetto giro-pallet, un contenitore cubico che può ospitare 504 bottiglie e che ruota grazie all’azione di un motore elettrico. Oggi, i moderni e sofisticati giro-pallet vengono ampiamente utilizzati dalle aziende che eseguono il remuage automatico. Tuttavia, per gli spumanti d’eccellenza, si predilige sempre il remuage manuale.

Come si fa il remuage manuale?

Ma come si fa il remuage manuale e in quale momento della produzione dello spumante si interviene con questa rotazione controllata della bottiglia?

Le bottiglie pronte per il remuage manuale vengono inserite a collo in giù su apposite strutture in legno, triangolari o a forma di V invertita, piene di fori per l’inserimento in verticale delle bottiglie. Tali strutture sono chiamate pupitres (termine che in francese significa “leggio” o “tavola”) consentono di inclinare le bottiglie gradualmente, aumentandone l’inclinazione, per arrivare a 60 gradi nel giro di 25-30 giorni, così da raccogliere nel collo della bottiglia i sedimenti dei lieviti utilizzati per la fermentazione in bottiglia tipica degli spumanti metodo classico.

Sotto il tappo a corona viene inserito un piccolo cilindro di plastica per favorire l’accumulo delle fecce al termine del remuage manuale: la bidule.

Quotidianamente poi il remuer, ossia l’esperto di remuage manuale, ruota la bottiglia con un colpo di polso deciso, così da scuotere i residui sul fondo della bottiglia, con una rotazione di circa 1/4 o 1/8, in senso orario o antiorario.

Quando si fa il remuage manuale?

Come detto in precedenza, il remuage manuale è necessario per l’eliminazione dei sedimenti e delle impurità. Questa delicata fase si colloca dopo la seconda fermentazione in bottiglia e la cosiddetta presa di spuma, ossia quel processo che consente all’anidride carbonica di rimanere nel vino sotto forma della tipica spuma da cui lo spumante trae il nome.

Il processo di produzione dello spumante inizia con la preparazione della cuvée, il vino di base ottenuto dalla sapiente miscela di vini provenienti da diverse varietà di vitigni accuratamente selezionati. Viene poi imbottigliata nella bottiglia di destinazione finale e lasciata affinare su lieviti a temperatura controllata per diversi mesi (nel caso della Cuvée Aurora imbottigliata da Banfi l’affinamento su lieviti è di circa 30 mesi).

In questa fase viene introdotta una miscela di zucchero, minerali e lieviti che prende il nome di liquer de tirage (“liquido di tiraggio”) e che consente la seconda fermentazione in bottiglia.

Solo dopo l’affinamento si procede con il remuage manuale, per l’eliminazione dei lieviti esausti e della feccia. Infine, si procede con la sboccatura oppure dégorgement, ossia l’asporto del tappo con la bidule dove si è concentrata la feccia, e con la sostituzione con il nuovo tappo. Questo processo, un tempo fatto a mano da un tecnico esperto, adesso viene effettuato, nella maggior parte delle aziende vinicole, da un macchinario ad hoc.

Per il remuage, invece, si predilige ancora il processo manuale: un remuer esperto può far ruotare anche 40.000 bottiglie al giorno. Tuttavia, per le grandi produzioni, si può fare ricorso al “giro pallet”, chiamato anche “gyro-palette”.

Quanto dura il remuage manuale?

Data l’importanza di questo processo nella produzione dello spumante con metodo classico, è naturale chiedersi quanto dura il remuage manuale. Il tempo del trattamento varia a seconda della tipologia dello spumante e da quanti giorni occorrono per raggiungere la limpidezza che contraddistingue, ad esempio, un Brut Metodo Classico. In genere, il remuage dura circa 1/2 mesi e una bottiglia può essere manipolata anche più di 25 volte prima di essere considerata pronta.

I remuer specializzati hanno l’abitudine di tracciare con il gesso un segno sul fondo della bottiglia per indicare il punto da cui si partiti per la rotazione di quel giorno, così da poterlo usare come segnaposto per il remuage manuale del giorno successivo: si tratta di un trucco del mestiere che si rivela molto utile, dato che il procedimento del remuage manuale dura diverse settimane.

Visita cantine: cosa aspettarsi?

In cosa consiste una visita in cantina? Perché sceglierla durante la propria vacanza? Scopri le visite alle cantine del Castello Banfi Wine Resort.

Visita cantine: cosa aspettarsi?

La visita alle cantine non è solo un’esperienza riservata ai soli cultori del vino ma è sempre più una parte fondamentale di quel turismo enogastronomico che negli ultimi anni ha affascinato turisti italiani e stranieri.

In passato, i tour delle cantine erano riservati agli intenditori e ai sommelier che visitavano questi luoghi per regalarsi degustazioni di vini pregiati direttamente sul territorio di produzione, cogliendo anche l’occasione per entrare in contatto diretto con i produttori e acquistare vini pregiati a chilometro zero.

Adesso l’esperienza della visita in cantina è un fenomeno che interessa molte più persone e rappresenta un’occasione per degustare i vini con la guida di esperti sommelier e per osservare da vicino come si produce il vino e quali sono le tecniche di produzione più avanzate adottate dalle aziende vinicole come Banfi. Ma cosa aspettarsi da una visita alle cantine?

Visita alle cantine: un’esperienza educativa e affascinante

In molti casi, il giro delle cantine è preceduto da una visita dell’intera tenuta, in particolar modo ai vigneti, dove una guida illustrerà le eccellenze ampelografiche della regione, mostrerà ai meno esperti le principali differenze tra vitigni a bacca bianca e a bacca nera e spiegherà, ad esempio, che cosa si intenda per vendemmia tardiva.

Questo tipo di esperienza, suggestiva e interessante dal punto di vista paesaggistico, è affascinante anche per chi non si ritiene un esperto ma è ugualmente interessato a scoprirne caratteristiche e curiosità.

Successivamente si arriva alla visita delle cantine vera e propria. Si tratta molto spesso di luoghi suggestivi dal punto di vista architettonico (uno spettacolo di legno e pietra), con file di botti di diversa grandezza allineate le une sulle altre e/o bottiglie di spumante adagiate sulle caratteristiche pupitres di legno per l’affinamento.

Una visita in cantina è l’occasione ideale per scoprire tutte le fasi di vinificazione o spumantizzazione e per arricchire le proprie conoscenze sulle tecniche di produzione. La guida vi mostrerà le diverse strumentazioni, illustrandovi la storia, le caratteristiche e le curiosità di ciascuna di esse. Potreste inoltre avere la possibilità di osservare come avviene la pigiatura nelle grandi vasche, come si esegue un imbottigliamento a regola d’arte o come i maestri vinificatori eseguono l’antica tecnica del remuage manuale.

Tour cantine: un’esperienza di gusto

Una visita alla cantina non può che concludersi con una degustazione dei vini locali della cantina stessa, spesso accompagnata dall’assaggio di altri prodotti tipici della zona (salumi, formaggi, ecc.).
Sarà compito dei sommelier illustrarvi le diverse caratteristiche dei vini, frutto di un’attenta selezione delle bacche e di un processo di vinificazione articolato e complesso nel quale tradizione, sperimentazione e tecnologie all’avanguardia giocano un ruolo fondamentale. Questo renderà il tour delle cantine un’esperienza educativa e di gusto completa.

Visita alle nostre Cantine

Banfi, che da sempre fa dell’eccellenza e dell’ospitalità la sua filosofia, è una delle aziende vinicole che durante buona parte dell’anno apre le porte della sua tenuta per una visita alle cantine, alla scoperta di luoghi concepiti per preservare e valorizzare la straordinaria selezione clonale delle uve prodotte nella tenuta Banfi.

Oltre alla cantina tradizionale, durante il tour delle nostre cantine è possibile ammirare anche la nuova area di micro-vinificazione, un vero gioiello dal punto di vista della tecnologia e dell’innovazione, nata dalla ricerca avanguardistica che da sempre ci caratterizza e con lo scopo di esaltare la ricchezza del patrimonio ampelografico delle tenute montalcinesi.

L’ambiente si configura infatti come una vera e propria cantina nella cantina, il cuore delle eccellenze Banfi. Qui si può osservare nel dettaglio l’intero processo di vinificazione: dalla pigiatura dell’uva fino all’imbottigliamento, in perfetto accordo con lo scopo educativo delle visite in cantina organizzate da Castello Banfi Wine Resort.

Cosa abbinare a una visita in cantina?

Le cantine Banfi sono immerse in paesaggi di straordinaria bellezza. Una volta terminato il tour in cantina sarà quindi possibile visitare ad esempio l’incantevole Castello di Poggio alle Mura.

Per chi desiderasse fermarsi qualche giorno nella campagna toscana sono inoltre disponibili camere e suites presso Castello Banfi Wine Resort, la struttura di lusso firmata Banfi, che offre ai suoi ospiti un’esperienza di relax e comfort a cinque stelle e in perfetta armonia con il paesaggio circostante e le strutture del Borgo. Regalarsi una visita alle cantine, abbinata ad un soggiorno come questo, è un’esperienza unica: la vacanza ideale per i cultori del vino e non solo.

Metodo Charmat e Champenoise

Entrambi sono metodi di produzione di vini frizzanti. Ecco caratteristiche, similarità e differenze del metodo charmat e di quello champenoise.

Metodo charmat e champenoise: ecco le differenze

La spumantizzazione, ossia quel processo che porta alla trasformazione del vino in spumante mediante una seconda fermentazione su lieviti, è complessa e articolata. Sulle caratteristiche dello spumante incidono non solo la qualità della cuvée di partenza e l’esatta composizione del liqueur de tirage ma anche il Metodo con cui viene indotta la rifermentazione. In base alla tecnica utilizzata per indurre la seconda fermentazione, si distinguono infatti il Metodo Charmat e il Metodo Champenoise.

La differenza tra Metodo Charmat e Champenoise riguarda principalmente la seconda fermentazione: essa avviene in botti di acciaio inox nel primo caso e in bottiglia nel secondo caso. Tuttavia, anche i successivi passaggi differiscono in alcuni aspetti, così come il prodotto finale:

  • gli spumanti Metodo Charmat sono profumati, aromatici e dal perlage ricco e penetrante;
  • gli spumanti Metodo Champenoise (o Metodo Classico) sono delicati e freschi, molto equilibrati e con un perlage finissimo.

Le peculiarità delle due tipologie di spumante sono facilmente individuabili durante una degustazione guidata, come quelle organizzate presso L’Enoteca di Castello Banfi Wine Resort che prevedono l’assaggio di alcuni tra i migliori vini firmati Banfi accompagnati da prodotti tipici del territorio toscano.

Il Metodo Champenoise

Il Metodo Champenoise deve il suo nome alla regione francese Champagne da cui provengono i migliori spumanti francesi. Tale processo di spumantizzazione è conosciuto anche con l’espressione di “Metodo Classico”. Gli spumanti Metodo Classico italiani, realizzati con cuvée a base di Chardonnay o Pinot nero sono estremamente freschi ed eleganti.

Origini del Metodo Champenoise

Le origini di questo metodo di spumantizzazione sono molto antiche e risalgono alla fine del Seicento. Le fonti attribuiscono l’invenzione dello spumante (inizialmente realizzato solo con il Metodo Classico) all’abate Pierre Pérignon.
Quest’ultimo avrebbe infatti scoperto la possibilità di una seconda fermentazione del vino in bottiglia mediante l’aggiunta di zuccheri e la successiva formazione delle bollicine.

Come funziona il Metodo Champenoise

Come per tutti gli spumanti, è fondamentale la scelta della cuvée di base: si prediligono soprattutto vini fermi da vendemmia precoce con una buona acidità. Successivamente, la cuvée viene imbottigliata insieme al cosiddetto liqueur de tirage, una soluzione a base di zuccheri e lieviti selezionati in grado di attivare la seconda fermentazione. Questa fase può durare diversi anni, durante i quali lo spumante acquisisce la complessità di aromi e profumi che lo caratterizzerà nel suo stadio finale.
I successivi passaggi per la produzione di spumante Metodo Classico si caratterizzano per la perfetta sinergia tra nuove tecnologie e pratiche manuali di antica tradizione, come il remuage o il degorgement, due tecniche utilizzate rispettivamente per separare le fecce dallo spumante mediante rotazione e per asportare il tappo a corona dove tali fecce si sono depositate.

Il Metodo Charmat

La differenza tra Metodo Charmat e Champenoise riguarda, come anticipato, il luogo dove avviene la seconda fermentazione: nel caso del Metodo Charmat si utilizzano botti in acciaio inox a temperatura controllata, chiamate “autoclavi”.

Origini del Metodo Charmat

Il Metodo Charmat deve il suo nome a Eugène Charmat, un enologo francese che agli inizi del Novecento brevettò un nuovo metodo e una innovativa tecnologia per la rifermentazione dello spumante.
Tuttavia, il primo ad aver ideato tale metodo fu l’enologo artigiano Federico Martinotti. La sua nuova tecnica aveva lo scopo di ridurre i costi e i tempi di produzione dello spumante, introducendo una fermentazione in massa della tradizionale cuvée all’interno di botti in acciaio inox sotto pressione (le autoclavi). A Charmat si deve il miglioramento di questa tecnica e l’acquisizione del brevetto, circa una quindicina di anni dopo i primi utilizzi da parte di Martinotti, motivo per cui questo procedimento è noto sia come Metodo Charmat che come Metodo Martinotti.

Come funziona il Metodo Charmat

Il punto di partenza per la produzione di spumante Metodo Charmat è una cuvée di vini base con un bagaglio aromatico intenso. Questa tecnica, infatti, è quella che meglio conserva le caratteristiche olfattive del vitigno stesso, racchiudendole all’interno della bottiglia e ampliandole grazie alle bollicine.

La cuvée viene introdotta nelle botti di acciaio inox sotto pressione per un tempo che va dai 30 agli 80 giorni. Durante questo periodo il vino subirà una fermentazione rapida, grazie anche all’introduzione di zuccheri e lieviti selezionati, fino alla presa di schiuma. La permanenza su lieviti consente lo sviluppo degli aromi e la loro evoluzione in uno spumante fresco, profumato e dal profilo olfattivo complesso.

Le differenze tra Metodo Charmat e Champenoise non riguardano solo la fermentazione ma anche le fasi successive della spumantizzazione. Infatti, per conservare l’aroma variegato, intenso e il perlage a grana più ampia che contraddistingue gli spumanti Metodo Charmat, le restanti fasi della spumantizzazione (travaso, refrigerazione, filtrazione e imbottigliamento) avvengono in condizioni isobariche (ossia sotto pressione) al fine di non disperdere l’anidride carbonica creatasi e di portare in tavola una bottiglia dal gusto esuberante e complesso.